
Sfido chiunque a rimanere in una stanza con Marv per qualche minuto e a non sentirsi in una situazione di costante minaccia. Io, qui a Sin City, ne vedo di squinternati, se imbocchi il vicolo giusto, ne vedi quanti ne vuoi. A volte sono loro che imboccano il mio vicolo, e si vengono a confrontare con le loro paure, o lo schifo che provano per se stessi.
Lo scopo? La speranza di vedere questi sentimenti orrendi personificati, in carne ed ossa, al fine di poterli gambizzare, per poterli veder agonizzare; io qui sono solo un disperato; tutto è in bianco e nero, piove nel mio studio quando piove fuori, come per dire che non c’è proprio modo di cavarsela, qualsiasi sia la situazione di partenza.
Il mio non è un lavoro, il mio è un supplizio. Facce come quella di Marv rendono ancora più greve il mio soggiorno qui a Sin City. Lo guardo e lo ascolto mentre mi dice che la morte di Goldie lo ha distrutto. Mentre la sua voce roca esce dalla fossa delle marianne della sua anima, mi aggiro lungo i solchi innaturalmente netti del suo volto.
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