Recensione: Sette anime

Ben Thomas (Will Smith), un ingegnere aerospaziale, che ha studiato al MIT e che apparentemente sembra una persona felice e cordiale si spaccia come funzionario del fisco per poter avvicinare delle persone in difficoltà a cui vuole dare aiuto, pur di poter espiare una colpa che lo lacera da tempo.

L’unico a conoscenza del suo piano e il suo miglior amico Dan (Barry Pepper), che non sembra affatto d’accordo con il mezzo scelto dal protagonista per completare la sua opera di redenzione, mentre il fratello (Michael Ealy), il vero esattore, lo cerca più volte per riuscire ad ottenere una spiegazione plausibile al fatto che si sia estraniato dalla sua vita, vendendo addirittura la propria villa.

Nessuno sembra riuscire a fermare Ben, che passa le sue giornate ad assicurarsi di aver scelto le persone giuste da far felici, come ad esempio Ezra (Woody Harrelson), il lavoratore non vedente del call center, oppure in ospedale per analisi e visite. Proprio tra i pazienti, però, conosce e si innamora di Emily (Rosario Dawson), una ragazza dolcissima, che ha assoluto bisogno di un trapianto di cuore, ma che, a causa della scarsa compatibilità, rischia di non averlo.

Sette anime (titolo orribilmente tradotto, che non ha niente a che fare con il Seven Pounds di Shakespeariana memoria) è il secondo film americano di Gabriele Muccino, un dramma dal soggetto veramente profondo, che si perde col passare del tempo.

Peccato che il film si salvi solo grazie al soggetto, al cast e alla colonna sonora: la telefonata fatta da Ben Thomas a Ezra all’inizio e i primi flashback della vita passata del protagonista, lasciano sperare in un mordente e in un approfondimento psicologico minuzioso, ma basta poco per capire, che i personaggi secondari rimarranno tali e che tutto il film girerà intorno al rapporto tra Ben ed Emily.

Il film non fa acqua solo per la mancanza di attenzione alle storie secondarie (in due ore di film, vengono trattate con una superficialità incredibile), ma anche per il finale, che poteva essere preceduto da maggior pathos, per il fulcro della storia (ciò che porta Ben a scegliere di agire in quel modo è veramente assurdo) e per la profondità del protagonista, che si salva solo perché chi ha la parte è tale Will Smith. Il suo personaggio è monocorde dall’inizio alla fine, è un caterpillar nei confronti dei sentimenti dei parenti, degli amici e della possibile fidanzata, ed non dimostra mai il minimo dubbio sulla missione che sta per compiere.

Concludendo: Sette anime poteva regalare più emozioni di quanto è riuscito a dare, poteva spiazzare per la sua capacità di graffiare o per la sua durezza. Poteva, ma non l’ha fatto, scegliendo la strada più banale e trasformandosi in un bel film romantico, incapace di andare oltre.