Recensione: Appaloosa

Appaloosa è una cittadina americana come tante, Lo sceriffo ed i suoi vice vengono uccisi da una banda di pistoleri capeggiata da un certo Randall Bragg (Jeremy Irons), è proprio lui, nel tentativo di non far arrestare alcuni dei suoi uomini ad  uccidere e a nascondere i corpi di tre tutori della legge. Ormai Appaloosa sembra nelle sue mani e alla mercè della sua banda, il comitato cittadino decide di correre ai ripari ed ingaggia due sceriffi prezzolati Virgil Cole (Ed Harris) ed il suo vice Everett Hitch (Viggo Mortensen).

Dopo aver sistemato un paio di balordi nel saloon della città, mettendo subito in chiaro chi comanda, la coppia di sceriffi sembra tenere sotto controllo la situazione, le giornate scorrono abbastanza tranquille, fino all’arrivo della vedova Allie French (Renèe Zellweger), affascinante signora dai modi gentili che sembra interessare ad entrambi gli uomini.

L’amicizia tra i due rimane comunque salda, Cole sembra essersi innamorato della vedova, e quindi Everett da buon amico si fa da parte, mettendolo comunque in guardia sul carattere volubile della donna, cercando di evitargli delusioni, ma l’amico è intenzionato a sposarla.

Quando spunta un testimone del triplice omicidio i due hanno la malaugurata idea di arrestare Bragg per processarlo, ma l’arrivo in città di Ring (Lance Henriksen), ambiguo personaggio, ed il rapimento di Allie complicheranno non poco la faccenda.

Il genere western sembra sempre sull’orlo dell’oblio, ma che regolarmente si rifà vivo in cerca di affermazione, per ricordarci le sue nobili e solide origini, che si tratti di riletture intimiste ed autoriali (L’assassinio di Jessie James),  solidi remake (Quel treno per Yuma) o come in questo caso, omaggio ai grandi classici del passato, questo genere dimostra di avere sempre qualcosa da raccontare.

Ed Harris gira con mano sicura, senza sbavature un solido racconto intimista ed epico al contempo, l’epicità di cui parliamo è quella del west raccontato dai grandi registi di un tempo con personaggi dalla colossale integrità morale, che di fronte ad una missione da portare a termine o a leggi da far rispettare mettono in gioco la propria vita.

I meravigliosi scambi di battute, secchi ed ironici tra i due protagonisti trasmettono bene una conoscenza profonda ed un’amicizia che affonda le proprie radici nella lealtà ed in valori forti.

Renèe Zellweger non convince molto, l’ambiguità non è veste, almeno in questo caso, che riesca a trasmettere bene, il suo ruolo è funzionale, la sua recitazione adeguata, ma niente di più.

Facce scolpite nella roccia per il cast quasi tutto al maschile, un villain di lusso, Jeremy Irons, una faccia da western come Lance Herinksen, ed i due protagonisti per i quali non si può non tifare dall’inizio alla fine del film, certo alla fine Cole ed Everett rimangono dei mercenari, ma non c’è minuto in cui non ci ricordino il loro essere indispensabile veicolo d’integrità nel caos di un’anarchia sempre pronta a sconfinare.

Unico appunto, se così lo possiamo definire, è l’immagine femminile, che dal film esce alquanto danneggiata dall’ambiguità di una visione eccessivamente misogina, sicuramente scelta, lo speriamo, figlia del voler riportare fedelmente mentalità e visione di quei tempi, ma la donna prostituta per soldi o per affetto, ci sembra comunque eccessiva come chiave di lettura.

Tutto comunque funziona alla perfezione, Viggo Mortensen silenzioso e fedele compagno d’armi è una continua e piacevole conferma, il resto è polveroso deserto, pistole e whisky, il resto è western.