The Box, recensione

1976, i coniugi Norma e Arthur Lewis (Cameron Diaz e James Marsden) un mattino di buon’ora ricevono un pacchetto in cui è contenuta una misteriosa scatola sovrastata da un grosso pulsante, a cui però è impossibile accedere poichè ermeticamente chiuso, insieme al pacchetto un biglietto che preannuncia la visita nel pomeriggio di un certo Mr. Steward (Frank Langella).

La signora lewis è un’insegnante in procinto di perdere il lavoro e con una malformazione ad un piede causata da un caso di malasanità, mentre il marito Arthur impiegato alla NASA è un aspirante astronauta che ha progettato la telecamera montata sulle sonde Viking che proprio nel ’76 raggiunsero Marte.

Mentre Arthur al lavoro riceve la notizia che la sua domanda per unirsi al progetto spaziale come astronauta è stata respinta a causa di un test psicologico fallito, Norma riceve la visita del misterioso mr. Steward, un uomo signorile, ma orribilmente sfigurato in volto che gli propone un’offerta.

L’offerta è tanto strana quanto chiara nella sua semplicità, i coniugi Lewis avranno ventiquattro ore per per decidere se premere o no il pulsante sulla scatola, se decideranno di farlo per loro un milione di dollari e sulla coscienza la morte di una persona che rimarrà anonima, se invece rifiuteranno riceveranno cento dollari per il disturbo e la proposta e la scatola passeranno in altre mani.

Il regista Richard Kelly dopo il suggestivo Donnie Darko e il pretenzioso e pasticciato Southland Tales, torna dietro la macchina da presa per dirigere un adattamento del racconto di Richard Matheson Button, button già ridotto per il piccolo schermo nella serie Ai confini della realtà nella versione anni ’80, nell’episodio trasmesso in Italia con il titolo La Pulsantiera.

Kelly sembra aver ritrovato  in parte alcune suggestioni e finezze che ci hanno fatto amare tanto il suo Donnie Darko, la confezione di questo The Box è davvero notevole, tutto il comparto visivo è profuso a riprodurre fedelmente il look di una pellicola anni ’70, Kelly non si limita a location, scenografie e costumi, ma omaggia anche un montaggio ed un’impronta registica tipici delle pellicole di quel decennio regalando al film una surreale e incisiva impronta retrò.

The Box contiene in frammenti reminiscenze di alcuni cult che hanno fatto la storia della fantascienza, vedi L’invasione degli ultracorpi nelle due versioni sia quella del ’56 che quel del ’78 da cui Kelly attinge anche per alcune inquadrature, ma anche la serie del Dr. Quatermass che nel ’99 ispirò l’ansiogeno La moglie dell’astronauta di Rand Ravich, pellicola con Johnny Depp e Charlize Theron.

The Box possiede in sè tutte il fascino e le contraddizioni del miglior Kelly, le criptiche elucubrazioni su futuro, aldilà e libero arbitrio miscelate a trovate sceniche decisamente felici come la sequenza della biblioteca che gli amanti della fantascienza classica a base di complotti e invasioni aliene non potranno non apprezzare.

Certo molto dell’appeal iniziale si diluisce inesorabilmente quando si giunge al pistolotto moralistico che anticipa il finale e prova a spiegare tutta la macchinazione aliena e che ci fa tornare inevitabilmente in mente il pessimo finale di Knowing-Segnali dal futuro di Proyas con cui il film di Kelly condivide un finale non all’altezza delle premesse, ma nonostante i molti difetti è innegabile che The Box possieda personalità, caratteristica che nelle produzioni odierne è ormai merce rara, a dimostrazione che Il Kelly di Donnie Darko forse non era tutto fumo.