Segnali dal futuro, recensione

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Dopo un prologo ambientato alla fine degli anni ’50 in cui in una scuola elementare si seppelisce una capsula temporale con alcuni disegni fatti dagli alunni e un foglio fitto di numeri disegnati da una taciturna e inquetante bambina di nome Lucinda, si torna al presente, sono trascorsi circa cinquant’anni, al disseppellimento della capsula assistono John e Caleb Koestler, John (Nicolas Cage) è un astrofisico che insegna all’MIT e che ha perso di recente la moglie, Caleb è suo figlio, è a lui che viene consegnato il misterioso foglio.

John in una notte agitata in cui in preda alla depressione beve un pò troppo, scopre casualmente che i numeri che sembrano scritti a caso sul foglio hanno in realtà un senso, poi grazie ad internet i numeri diventano date di catastrofi e numeri di decessi, infine un evento devastante mette John davanti ad una terrificante verità, le ultime tre cifre riportate sul foglio sono di disastri non ancora avvenuti.

Cosi Kostler comincia a cercare indizi, provando a rintracciare Lucinda la bambina che aveva scritto cinquant’anni prima le profezie numeriche, nel frattempo strane presenze cominciano a visitare la sua casa, mentre il piccolo Caleb è terrorizzato da strane voci e apocalittiche visioni.

Certamente il regista Alex Proyas dopo i fasti gotici de Il corvo e di quel gioiello che è stato Dark City, trova sempre più difficile trovare una propria collocazione. Dopo il giocattolone Hi-tech Io, robot, in cui la sua personalità e l’impronta visiva tipica dei suoi lavori precedenti veniva fagocitata dagli effetti speciali e dalla fracassona confezione hollywoodiana, eccolo tentare di ritornare alle origini cercando una via di mezzo tra le astmosfere gotico/sovrannaturali del suo Dark City e gli ipersfruttati disaster-movie, pellicole che hollywood ormai sforna a ripetizione come una laboriosa e ansiogena catena di montaggio.

Il risultato? Un ibrido, un film dalla doppia anima che sicuramente non diapiacerà al grande pubblico, ma che rimane irrimediabilmente sospeso tra due mondi inconcilibili, almeno a guardare la difficoltà immane di Proyas ad adattarsi al cinema mainstream.

Efficaci alcune suggestioni che rientrano nel repertorio del regista, alcune sequenze ansiogene tipiche del genere, le inquietanti presenze, la fase investigativa e un Nicolas Cage adeguato al ruolo, tutti ormai ne conosciamo appieno virtù e limiti, molto meno bene il finale, l’abuso di effetti speciali e alcune paurose cadute di ritmo in cui lo spettatore rischia un fisiologico deficit d’attenzione con annesso liberatorio sbadiglio.

Nonostante tutti i difetti sopra elencati, il film si barcamena e comunque invoglia ad arrivare alla fine, certo dopo il finale e i titoli di coda può esserci sicuramente qualche perplessità, ma considerando bene tutta la carne al fuoco messa sullo schermo e la dignitosa confezione, il film merita senza dubbio una sufficienza piena, sperando sempre in un prossimo film dal carattere più deciso.