Arthur e il popolo dei Minimei, recensione

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Il piccolo Arthur (Freddie Highmore) combatte quotidianamente con una coppia di genitori assenti, che in parte vengono sostituiti dall’amore di una nonna che stravede per lui, e che cerca di sopperire alle carenza d’affetto del ragazzo come può.

Arthur vive nella fattoria dei nonni, qui gli vengono spesso raccontate le avventure del nonno esploratore scomparso nel nulla da molti anni, la nonna gli narra anche di una misteriosa tribù incontrata dal marito, i Minimei, esseri  minuscoli che vivono in un mondo a cui si può accedere solo attraversando un portale magico.

Purtroppo il nonno di Arthur prima di sparire nel nulla, aveva portato nel paese dei minimei un inestimabile tesoro donatogli da una tribu di indigeni dotati di poteri mistici, il tesoro era scomparso con lui insieme all’ultima speranza di salvare la fattoria ormai in procinto di essere messa all’asta.

Arthur desideroso di salvare la fattoria dei nonni e scoprire se i Minimei siano reali, si lancerà in una caccia al tesoro che lo trasporterà in una dimensione fantastica dove affronterà incredibili avventure, contrasterà le mire di un cattivissimo conosciuto come M e conoscerà una bella principessa.

Luc Besson si cimenta con l’animazione di alto profilo basandosi  su un suo racconto per ragazzi, e come accade spesso con le produzioni del regista e produttore francese più americano di sempre, vedi l’intrigante Il quinto elemento, il livello qualitativo della messinscena è sempre altissimo, e un occhio di riguardo per lo spettacolo onnipresente.

Arthur e il popolo dei Minimei viene messo in scena con un incipit live-action e con il cuore dell film realizzato in un splendida e coloratissima CGI che bisogna dirlo non ha nulla da invidiare alle blasonate produzioni d’oltreoceano.

La storia è a misura di bambino, non mancano però amiccamenti visivi e sonori al  pubblico più adulto, ma quello che funziona di più è sicuramente il look ricercatissimo e accattivante dei mini-protagonisti molto ben caratterizzati, e le immersive location virtuali, che anche se non originalissiume, hanno nel realismo e nella consistenza visiva un punto di forza. Il film ha avuto un sequel tratto da un secondo romanzo scritto sempre da Besson, Arthur e la vendetta di Maltazard.