Recensione: Davanti agli occhi

In una scuola superiore di Briar Hill nel Connecticut, due ragazze, Diana (Evan Rachel Wood) e Maureen (Eva Amurri), così diverse tra loro, la prima trasgressiva, aggressiva e anticonformista, la seconda timida, secchiona e romantica, diventano amiche per la pelle.

Questo rapporto idilliaco tra le due teenager, fatto di bagni in piscina di nascosto, pomeriggi a parlare (l’una racconta all’altra i sogni, le speranze per il futuro e le prime storie d’amore) e scuola saltata viene bruscamente interrotto da un loro compagno di istituto Michael (John Magaro), che con una mitraglietta in mano uccide tutti coloro che si trovano all’interno della scuola, prima di porre a Diana e Maureen la tremenda scelta: chi vuole sacrificarsi per salvare la vita all’amica?

Quindici anni più tardi, il giorno dell’anniversario della strage della scuola, Diana (Uma Thurman) si è costruita una vita, ha un marito bello e colto (Brett Cullen) e una figlia adorabile (Gabrielle Brennan), eppure continua a sentirsi a disagio.

Davanti agli occhi (The Life Before Her Eyes) è un thriller psicologico anomalo (più drammatico, che thriller), diretto da Vadim Perelman, che, sovrapponendo più piani narrativi, grazie ai continui flashback ci accompagna fino ad un quasi inaspettato finale al quale cerca dare forza disseminando, lungo i quasi novanta minuti di storia, particolari, che stridono tra di loro.

Il film, che inizialmente si presenta come la classica pellicola giovanile (anche se i titoli, molto curati, lasciano presagire altro e la colonna sonora non è incalzante) sia per la lentezza della narrazione, che per l’attenzione per i particolari si sdogana subito dall’idea di essere un film per teenager e cerca di rappresentare un dramma, già raccontato in passato da numerose altre pellicole, quello della violenza scolastica, da un altro punto di vista, quello di chi si trova davanti al bivio tra la vita e la morte.

Concludendo: la storia interessante, anche se a tratti tediosa e forse troppo fredda e poco scorrevole, è capace di raggiungere il suo obiettivo, senza infamia e senza lode. L’espediente narrativo non è nuovo, ma ben utilizzato per creare il colpo di scena finale. Peccato per la voce impropriamente scelta per il doppiaggio di Uma Thurman, che se riesce nell’intento di abbassarle l’età anagrafica è visibilmente scollata dal personaggio.