Guillermo Del toro & co: tra inconscio, incubi e fantasmi.

Parlare di new horror e di autori emergenti ci fa inevitabilmente fare tappa nella penisola iberica, dove l’humus artistico e il genere come massima espressione cinefila ci permette di presentarvi film e autori che stanno rivoluzionando l’horror riportandolo alle origini, un’involuzione dagli inaspettati benefici, il thriller, il gotico, il fantastico che si miscelano all’ horror più tradizionale supportato dalle nuove tecnologie, dov’è allora la novità vi chiederete voi, semplice nella rilettura dei clichè del genere e nella scelta di storie calate in periodi storici riconoscibili, ben radicate nella realtà, cosi in profondità da poter rendere credibili gli sconfinamenti e le incursioni in dimensioni alternative popolate dagli altri, che siano anime in pena, mostri o virus mutanti.

Il cinema ispanico ha cominciato lentamente la scalata, sia in termini di botteghino,sia in termini di Status quo, si perchè la sensazione è che il cinema dai toni gotici dei vari Amenabar e Balaguerò, a cui aggiungeremmo per impronta visiva anche anche il messicano Guillermo del Toro, stia cambiando le regole del gioco, influenzando il panorama internazionale con piccoli ma continui ritocchi al genere, un pò come succede con l’horror orientale, piccoli grandi film che stupiscono per la freschezza visiva e per il ritorno alle atmosfere del cinema delle case infestate e dei vetusti manieri, per dirla alla Bram Stoker, o continuamente citato da registi che ne hanno l’anima ormai irrimediabilmente contaminata, come Tim Burton, un cinema che ha l’infanzia e lo sguardo dei bambini come perno su cui ruotano ingranaggi che rappresentano gli adulti, la crescita, la perdita dell’innocenza e il meccanismo che fin da piccoli ci attira, la curiosità per l’inspiegabile, i piccoli segreti custoditi in vecchie scatole di metallo, i giochi, il giardino che diventa paurosa foresta stregata, la fantasia dell’innocenza.

Questi sono i meccanismi che innescano questi registi che fanno del mistero un attore indispensabile, Alejandro Amenabar con la sua casa labirintica e popolata di anime in cerca di risposte, nel gotico The others, gli altri, quelli che tutti vorremmo poter vedere, ma che ci spaventano dentro, in profondità, gli altri che tramutiamo in fobie e paranoie, che registi come Jaume Balaguerò animano e rendono orribili e disperati in film come Fragile, dove i bambini diventano il mezzo di comunicazione, anime pure, porte da attraversare, o da sacrificare al male più puro,perchè anche il male è purezza al negativo, negativo della luce, della bontà, della pietà, quindi per esistere abbisogna del positivo, dell’innocente per olrtrepassare la soglia, e usa l’avidità e la sete di potere per trovare nuovi accoliti, adulti pronti a vendersi per toccare il Caos, come la setta del film Darkness dove il male è sovrano in cerca di sudditi ed ha la supponenza del conquistatore.

I bambini quindi come strumento, ma anche come impavidi e coraggiosi soldatini di piombo, orfani, indifesi, con la guerra che preme alla loro spalle, che fagocita la loro infanzia, martoriandola, distruggendone il piu’ intimo contenuto, e Guillermo Del toro ne fa protagonisti combattivi ma inesorabilmente perdenti, ne La spina del diavolo, l’orfanotrofio è la casa infestata, i compagni di giochi i fratelli mai avuti, gli adulti amorevoli e terrificanti, il sangue e la violenza pane quotidiano. E quando il piccolo e coraggioso Carlos  aiuta un bambino assassinato, anima in pena, a vendicarsi vince la battaglia, ma perde la guerra, perde l’innocenza.

Così si difende Ofelia, la piccola protagonista della terrificante fiaba dark Il labirinto del fauno, l’altra dimensione come rifugio, labirinto in cui perdersi per sfuggire alla crudeltà della guerra che ha invaso il mondo reale e la propria famiglia, rendendolo invivibile, ma una volta che gli adulti ne trovano l’accesso, il mondo costruito si sgretola di fronte alla crudeltà, e la morte sembra l’unica via d’uscita, l’unico modo per sfuggire al trauma della guerra e al furto dell’infanzia.

Concludiamo questo viaggio nel cinema horror spagnolo con due film completamente diversi tra loro, ma con il medesimo impatto emotivo, Rec di Paco Plaza e  Jaume Balaguerò e The orphanage di Juan Antonio Bayona, due film dallo stile opposto, survival horror stile reality il primo, storia di fantasmi elegante e suggestiva il secondo, paure reali e viscerali contro suggestioni metafisiche. Un virus che contagia un condominio, la quarantena, il panico, il sangue e la violenza, il tutto raccontato come un servizio giornalistico, veloce, ansiogeno, ipercinetico, questo è Rec, ma non solo perchè l’altrove è in agguato, anche nella più realistica delle pellicole. Di contro il cinema rarefatto e formale di the orphanage, l’orfanotrofio infestato, l’infanzia violata, la vendetta, il passato che ritorna, tutto filtrato attraverso il personaggio di una madre afflitta, ma determinata ad affrontare persino l’aldilà pur di rivedere il proprio figlio, struggente e malinconico come una fiaba triste, cinema d’altri tempi ma ben radicato nell’oggi.

Tutte le pellicole citate rappresentano meccanismi e caratteristiche a livello narrativo molto simili, unica eccezzione Rec, ma li si lavora sulle ansie più che sulle suggestioni, una scelta stilistica quella dell’accoppiata Plaza/Balaguerò che però nel finale torna alle origini del male, quello puro e metafisico, tema portante degli altri film citati, andando così idealmente a chiudere il cerchio e a completare questa nostra incursione nel new horror iberico.