Wall-e e una nuova speranza

Il rumore che fa mentre si sposta in un silenzioso pianeta terra fatto per la maggior parte di detriti e spazzatura, è forte quanto lo sono le sue pretese nei confronti della vita. Il modo attento con cui svolge ogni compito ricorda il Disturbo Ossessivo Compulsivo.

Non si tratta di questo, però. Wall-e è una macchina. Non ha disturbi psichici, ma semplicemente un programma che gli dice di fare quello che deve fare; e lui lo fa, senza lamentarsi, senza opporre alcuna resistenza; soprattutto lo fa senza noia, e senza arroganza. Lo fa e basta.

Del resto a un certo punto della sua giornata, quando il sole comincia a calare, un sole annoiato del monotono panorama terrestre, e che a volte si rallegra nel vedere il robottino al lavoro, arriva l’ora di tornare a casa. La solitudine è una condizione naturale per Wall-e, ma non per questo necessaria.

E’ da tantissimo tempo che l’ultimo umano se n’è andato. Nessuno gli ha dato la possibilità di conoscere realmente la vita com’era un tempo in quel pianeta fatto di grattacieli di immondizia. Così Wall-e si è dovuto organizzare. Un entusiasmo sovrumano, direi.

Infatti è diventato un archeologo provetto. Girando di qua e di là, raccogliendo ora questo ora quell’oggetto, alla fine ha creato una collezione che gli ha raccontato chi siamo e come siamo. E come succede negli animi sensibili ome il suo, viene subito voglia di provare cose nuove.

Wall-e chiede quello che la maggior parte di noi chiede, in particolare al rapporto con l’altro. L’altro ci serve a guardare dei noi stessi un pò diversi, ci serve a capire che abbiamo le gambe, e ci aiuta a distinguere il sopra dal sotto.

Potrebbe mai un set di istruzioni, per quanto dettagliate, darci quella conoscenza profonda di noi stessi, pur basandosi su una rappresentazione fine delle relazioni tra comandi, metodi e variabili? E’ possibile vivere una vita semplicemente leggendola su un libro?

Potremmo forse distinguere due colori, a livello numerico, ma non potremmo mai capire sei il rosso ci piace o ci fa schifo, e non ci potremmo emozionare guardando un film insieme a una persona a cui vogliamo bene.

Per questo l’arrivo di Eve è una porta che si apre su un mondo nuovo, la speranza di imitare qualcosa che si è visto fare a qualcun’altro. Una scintilla di vita, presente nel piccolo Wall-e, e assente in tante persone che dovrebbero posederla per natura, serve in prima istanza a ridare una speranza al pianeta.

Fa anche molto, molto di più. Ci fa provare quella sensazione suggestiva e infantile di speranza infinita, che provavamo tornando a casa da qualche posto, la sera, seduti sul sedile posteriore della macchina; ci si appoggiava al vetro, si guardava fuori, e la curiosità, il fervore inconscio dovuto ad una cognizione falsata dello spazio tempo, ci rassicuravano ilnostro focus attentivo.

La conseguenza era un cuore sempre spalancato, impossibile da chiudere. Wall-e ha ed è tutto questo, ed è grazie a questa sorta di fede entusiastica e ingegnosa che riuscirà, veramente, a cambiare le cose. Si comincia raccogliendo spazzatura, si finisce costruendo un mondo nuovo.