Fenomeno Cloverfield: un superstite

Non posso rivelare il nome della persona che mi trovo davanti: ho ricevuto questo incarico speciale da perosne di cui non dovete sapere il nome, e nemmeno l’organizzazione di appartenenza. Tutto quello che posso dire è che il mondo, adesso, non è quello che era un tempo.

La persona che ho davanti soffre di un Disturbo Post Traumatico da Stress: i sintomi ci sono tutti. Prendiamoli uno per uno: insistenti ricordi dell’evento traumatico tramite incubi, immagini, pensieri o percezioni. Smith, così lo chiameremo, non dimenticherà mai quello che ha vissuto. Il ricordo è pervasivo, è invadente, è aggressivo. Entra nella sua giornata con prepotenza, entra con violenza e con prelazione.

Vogliamo poi parlare della costante sensazione di rivivere il momento come se si stesse ripresentando davvero? IL mostro, il colosso, è su di lui. La sua sopravvivenza è semplicemente un effetto collaterale. E’ vivo per distrazione.

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Il cuore nero di Bruce Wayne

lo vedo mentre è lì, seduto davanti a me, ma lo immagino altrove; sogno o son desto? Ha deciso di rendermi parte del suo segreto. Forse perchè il Segreto Professionale, nella mia professione, si scrive con le mauscole.

Il senso di quello che fa, s’intenda, io lo capisco: non posso pensare di dare la precedenza al senso narcisistico acceso dall’onore di sapere la verità, vedere il lato illuminato del suo cuore nero. So che è giovanissimo, ma so anche che per molto tempo ha vissuto lontano. Alla ricerca del Male.

La sua ricerca è stata nient’altro che un viaggio dentro se stesso, una strada interminabile, una salita che si rivolge su se stessa come un giro della morte. La stanchezza che riposa in fondo ai suoi occhi è accartocciata sulle sofferenze che ha provato nel corso degli anni, alcuni pezzi del suo sguardo sono ancora conficcati nelle cose irripetibili che ha visto durante il suo peregrinare.

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La rabbia di Marv

Sfido chiunque a rimanere in una stanza con Marv per qualche minuto e a non sentirsi in una situazione di costante minaccia. Io, qui a Sin City, ne vedo di squinternati, se imbocchi il vicolo giusto, ne vedi quanti ne vuoi. A volte sono loro che imboccano il mio vicolo, e si vengono a confrontare con le loro paure, o lo schifo che provano per se stessi.

Lo scopo? La speranza di vedere questi sentimenti orrendi personificati, in carne ed ossa, al fine di poterli gambizzare, per poterli veder agonizzare; io qui sono solo un disperato; tutto è in bianco e nero, piove nel mio studio quando piove fuori, come per dire che non c’è proprio modo di cavarsela, qualsiasi sia la situazione di partenza.

Il mio non è un lavoro, il mio è un supplizio. Facce come quella di Marv rendono ancora più greve il mio soggiorno qui a Sin City. Lo guardo e lo ascolto mentre mi dice che la morte di Goldie lo ha distrutto. Mentre la sua voce roca esce dalla fossa delle marianne della sua anima, mi aggiro lungo i solchi innaturalmente netti del suo volto.

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Una seduta Freddy Krueger

A Freddy ne sono capitate veramente di tutti i colori; il sentiero della mano destra, si dice; qui la faccenda è complessa, be più complessa; il piacere provato nel veder morire piccoli animali tra atroci sofferenze è un esplosione di piacere che difficilmente si accetta quando si è piccoli.

Poi si passa ad un’altra fase, quella in cui si vitupera il mondo che ci ha fatti così; non illudiamoci, il cambiamento è possibile, ma dobbiamo sempre tenere presente il contesto di appartenenza, il punto di partenza della nostra vita.

Muoversi in questo mondo non è facile, soprattutto quando ci si sente così anormali; e nel sangue che ci eccita e che ci riempie il sorriso, quello stesso sangue che imbratta qualsiasi forma di moralità, è lì dentro che vive l’mmmagine di quello che diventeremo, di quello che saremo quando non ci sarà più speranza, quando non ci sarà più redenzione.

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Il percorso di Anakin Skywalker

La Forza di Anakin avvolge la stanza, e la sua serafica immobilità mi tiene in sospeso in uno stato che è a metà tra l’ammirazione e il timore. Mi spaventa l’idea di affrontare un percorso di questo tipo: camminare attraverso i meandri di una mente forgiata in questo modo potrebbe essere veramente pericoloso.

La disciplina e l’allenamento durano ormai da anni; il corpo e la mente hanno sopportato fatiche indicibili, un percorso formativo degno della scuola più rigida. La sua espressione corrucciata non è lo specchio di quello che sta pensando, ne sono assolutamente convinto.

Si tratta di una sorta di casco protettivo sviluppato negli anni, in modo spontaneo; non posso non pensrae a quanto le persone possono essere diverse, e agli effetti che il vivere tutti nella stessa realtà può portare.

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Carrie, lo sguardo di un sogno infranto

Giovani disadattati, c’è poco da fare e da dire, sono sempre esistiti. Anni sessanta, anni cinquanta, anni settanta, e gli anni ottanta non li cito perchè sarebbe come sparare sulla croce rossa. Io che cos’ero? Non me lo ricordo più, adesso sono grande, faccio tante cose e vedo tanti pazienti, e soprattutto, senza l’ombra di ogni ragionevole dubbio sono adattatissimo.

La rimozione sembra funzionare, perchè se il pallore di Carrie ha mai colorato la mia pelle, ecco, io questa cosa non me la ricordo per niente. Il suo sguardo vitreo punta terra anche mentre fissa querulo i miei occhi.

Ma guardala, mi fa quasi rabbia. Non come la maggior parte dei pazienti, mi fa rabbia perchè è bellissima, perchè non è colpa sua se non riesce neanche a dirmi “buongiorno” senza arrossire. E’ questa totale assenza di responsabilità che odio, e all’improvviso ricordo il prezzo, carissimo, che pago per questo mio attuale adattamento, premio di consolazione per i superati trent’anni.

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Gloria e la ricerca serena della felicità

La fuga dallo zoo le ha portato una ventata di nuovo, e questo non può negalo; forse non avrebbe ricercato la fuga in modo diretto, le è capitata, e lei si è lasciata trasportare. Meno motivata di Marty, più attiva e consapevole di Melman.

Chissà se riesce a capire di essere la “glia” che tiene insieme tutto quello sgangherato gruppo. Riesce ad essere aggraziata nonostante la sua stazza, il suo sguardo dolce lascia sfuggire una grande dolcezza condita con una innegabile fermezza.

Non ci sono parole per descrivere la vita interiore di queste cosiddette acque chete. Gloria è la parte grossa del gruppo, senza fare facili ironie, e se conoscete ciò di cui parlo, sapete cosa sto dicendo. Racchiude infatti in sè ciò che è “donna” nel gruppo, e non sto parlando di ciò che è strettamente femminile.

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Marty: oltre il recinto

Il salto oltre il recinto dello zoo che ci circonda ha un significato ambivalente per molti di noi; a volte si tratta della necessità violenta di liberarsi di qualcosa, a volte si tratta della voglia di aver qualcosa di cui lamentarsi; altre volte ancora è il bisogno protettivo di avere un limite da temere.

Vi ricordate The Truman Show? Io me lo ricordo. Se ci pensate un attimo, pensare a quel film e poi pensare a Marty ci riporta a considerare questo entusiasmo che caratterizza gli strati profondi della personalità, e che inevitabilmente, superate certe soglie, arriva a far compiere imprese grandiose.

Anche Marty non deve illudersi
: quando si è personaggi di una storia da raccontare, non c’è scampo: si è una parte, ed essere un tutto idempotente e attivo è solo una mera illusione; “giusto quello che basta per vivere”, direbbe qualcuno.

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Melman: l’insicurezza ha il collo lungo

Ti guarda con quelli occhi che incorniciano un’espressione tra lo stanco e il languido, e mi rendo conto che anche lui, come tutti, pensa solo a stare bene, è che vi si concentra forse troppo, fino a perdere di vista il quadro generale del suo benessere.

Sembra reggersi a stento su quelle gambe lunghissime, è cosciente di apparire come appare, e sembra molto preparato sulle sue patologie, o quanto meno quelle che crede di avere. Mi stupisce la sua preparazione generale sui disturbi corporei. Il suo lungo, estesissimo corpo sembra contenere una fobia per ogni macchia.

L’insieme di aspettative tradite che traspaiono dalla sua voce incerta induce ad assumere una grande cautela nel relazionarsi con lui: si ha paura di spaventarlo, si ha paura di ferirlo senza volerlo. Si erge in alto, ma ti guarda con timore.

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Tutte le manie di Alex il leone

Vorrei che Alex mi aiutasse a capire quello che vuole veramente. La colpa non è certo sua: nascere e crescere in cattività rappresenta sicuramente una condizione ch epuò andare facilmente in conflitto con quello che è, nel senso più lato possibile, lo sviluppo naturale.

Quando si parla di istinto, se ne parla spesso a sproposito: in questo caso ci riferiamo a un qualcosa che deriva da un senso profondo di appartenenza, e che ci constringe a rifelttere su alcune delle scelte che abbiamo fatto fino ad ora, magari in funzione di un qualche miglioramento futuro.

Non ci dovrebbero essere scuse per non crescere, per non andare avanti, ma, nella maggior parte dei casi, solo scelte assolutamente consapevoli, solo mascherate da false costrizioni auto costruite. Demolire la gabbia dorata in cui viviamo rappresenta per tutti un passo fondamentale, come un’iniziazione in cui il nido non viene solo abbandonato, ma distrutto, bruciato, incenerito.

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Max Payne… dallo psicologo

Il desiderio di vendetta si esplica nell’assunzione di un ruolo nel contesto della propria vita e di quella degli altri. Si tratta di una responsabilità che arriva, che viene barattata con la disperazione, e che in qualche modo non riusciamo più a srollarci di dosso.

Il trauma non è mai abbastanza lontano. Il tempo a volte riesce a cancellare le ferite, a volte le cristallizza, disegnandoci un cerchio intorno, che man mano diventa una vera e propria cornice, come a sottolineare la violenza di quello che è successo.

Non si dimentica. Non si dimentica mai. Si guarda avanti, ma davanti agli occhi si ha il disegno che il sangue ha lasciato sulle pareti della casa. Non si dimentica, perchè quella chiazza sembra il disegno fatto da un bambino piccolo, in modo ingenuo e divertito.

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Edward Cullen : buon sangue non mente

La conflittualità tra la propria natura e quello che (forse) ci illudiamo essere il libero arbitrio dà vita, almeno in apparenza, ai momenti di evoluzione e di crescita delle persone. Edward, quando lo vediamo la prima volta, è già cresciuto tanto.

Ha un passto denso, e lo si vede dalla profondità dei suoi occhi, che sembrano sempre cercare di aggiustare pensieri e concezioni, in un tentativo sempiterno di conciliazione tra il mondo suo e quello nostro. La diversità si manifesta in lui in tutto ciò che di buono può creare.

Incontrarlo per la prima volta dà un senso di pace e di cambiamento. Stando accanto a lui si ha la percezione di un’adolescenza invecchieta, non so come potrei spiegarlo altirmenti. Senza conoscere le sue motivazioni profonde rimanda a concetti di Fobia Sociale, sembra di ascoltare l’audio di un disco masterizzato male.

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Il Sesto Senso di Cole

Non riesco a spiegarmi perchè sono qui. Ogni tanto succede, e mi ritovo da una situazione a un’altra, da un contesto a un altro. Provo una conforevole inconsapevolezza di ciò che è success ieri, e mi chiedo cosa stia succedendo al bambino che ho davanti a me.

Inconsapevole vittima di ciò che gli sta succedendo, debole resistenza alle aggressioni di quello che avviene dentro di lui. O fuori di lui. Vede la gente morta. Una metafora? Vede la gente morta dentro? Vede la gente morta. Penso a un incidente che ho avuto qualche mese fa, non so perchè.

In qualche modo, lui è qui e mi ha dato la sua fiducia. E’ un bambino, non posso riempirgli la testa di consigli o di prescrizioni. E poi, non credo che le cose siano semplici, in questo caso. Si tratta di un lato oscuro nascosto, una maschera che cela qualcosa dietro di sè.

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Il senso del dovere di Jack Torrance

Jack ha negli occhi quella che io definisco la fine delle certezze. E’ ironico che da uno sguardo così torvo e allo stesso tempo sardonico possa scaturire una forma di organizzazione così strutturata, a tratti apparentemente ossessiva.

Il modo in cui affronta il suo soggiorno all’Overlook ha un che di sornione all’inizio, sembra che in qualche modo venga sospinto dall’inerzia del suo passato, di quelli che sembrano solo “errorucci”, macchie delebili di trascurabile entità.

La cascata di sangue che imbratta la mia mente mentre lo guardo esplode all’improvviso sulla mia faccia. Io serro le labbra, le stringo il più possibile perchè niente di quello schifo entri dentro di me. Poi capisco che tutta quella repulsione è dovuta al fatto che tengo gli occhi chiusi.

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