Cinema e letteratura: il caso di Colazione da Tiffany e Fight Club

Sono tanti i film tratti da libri o liberamente ispirati a romanzi di ogni genere. L’opinione più ricorrente è che quasi sempre il film non rende giustizia al racconto del libro che invece ci aveva così preso.

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A volte, succede invece, che sia proprio il film ad attirare più del libro, vuoi per la bravura di attori e registi, vuoi perché l’arte cinematografica è riuscita a dare un senso ad una storia che scritta sembrava non averne, ed ecco che il film diventa più famoso del libro.

Uno dei casi eclatanti in cui la trasposizione cinematografica è più nota dell’opera letteraria è “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards. Film del 1961 con una fantastica Audrey Hepburn, tratto dal romanzo di Truman Capote del 1958.

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Mortal Kombat: Rebirth, il cortometraggio

Oggi lo spazio cortometraggi lo dedichiamo ad un progetto in piena evoluzione, trattasi del cortometraggio Mortal Kombat: Rebirth opera del regista e coreografo Kevin Tancharoen responsabile del remake Fame.

Tancharoen dopo il dittico da cinegame e la serie tv, ci propone una rilettura gore ed iperrealistica del classico picchiaduro della Midway che ha appassionato milioni di videogiocatori in tutto il mondo.

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The Social Network, recensione in anteprima

Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg), studente universitario di Harvard è quello che si può definire un lucroso mix di genio creativo ed eccentricità, una sera grazie ad un litigio con la sua ragazza stufa del suo carattere egocentrico crea un programma informatico dove poter votare con un semplice clic le ragazze di tutto il campus universitario, violando e mandando in crash il server dell’università con il risultato di incorrere in una sazione disciplinare.

Quello che più colpisce i gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, campioni di canotaggio e figli di papà, del lavoro di Zuckerberg non è tanto l’aver scritto un codice di programmazione in una sola notte, ma la potenzialità dei contatti ricevuti, potenzialità che vorrebbero applicare ad un loro progetto, il dominio Harvardconnection, così ingaggiano Zuckerberg affinchè scriva il codice per loro il sito.

Mentre accetta la proposta Zuckerberg ha un’intuizione, gli accadimenti di quella notte, più la proposta dei fratelli Winklevoss innescano un’idea tanto semplice nella sua applicazione quanto straordinaria per quello che sarà capace di scatenare all’interno del web, nasce cosi la prima versione del moderno Facebook, il social network più popolare e visitato di internet, trasformando la società nel frattempo costituita da Zuckerberg e due suoi compagni di corso, in un azienda da 25 miliardi di dollari e il suo fondatore nel più giovane miliardario della storia, ma gli Winklevoss non ci stanno e gli faranno causa per furto di proprietà intellettuale.

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10 film rompicapo

Ieri è uscito nelle sale italiane l’atteso film-evento Inception, il regista Chris Nolan presenta un’ambiziosa incursione nel mondo dei sogni, interi mondi partoriti dal subconscio che diventano materia malleabile da menti allenate e anche se il film vista la complessità delle  tematiche trattate e dalla profondità dei concetti messi in campo non è immune da difetti e mancati intenti, possiede indubbiamente tutto il fascino dell’opera visionaria di un’arte, quella cinematografica capace di materializzare stupefacenti e sempre più immersivi universi paralleli a misura di spettatore.

Così visto il complesso rompicapo di immagini, visioni e suggestioni subliminali che hanno dato corpo e anima al blockbuster di Nolan, abbiamo pensato di dedicare una classifica ad hoc che raccolga dieci pellicole che utilizzino nel loro percorso narrativo un immaginifico e labirintico percorso in cui lo spettatore si possa piacevolmente perdere, con l’assoluta certezza di guadagnare col sopraggiungere dei titoli di coda una comoda via di fuga che lo riporti alla realtà con qualche frammento di emozione in più da poter condividere e su cui riflettere.

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La miglior fotografia del decennio 1998-2008 è de Il favoloso mondo di Amélie

Il favoloso mondo di Amelie

L’American Cinnematographer ha stilato insieme ai propri abbonati la classifica dei 50 film con la miglior fotografia del decennio 1998-2008. Alla votazione hanno preso parte oltre 17.000 lettori che hanno decretato vincitore Il favoloso mondo di Amélie, la cui fotografia è stata realizzata da Bruno Delbonnel. Il film francese ha battuto I figli degli uomini, secondo e Salvate il soldato Ryan, terzo.

Di seguito trovate la classifica completa.

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Fight Club, recensione

fightclubIl protagonista della nostra storia è un grigio e anonimo impiegato come tanti, vessato dal proprio lavoro, vittima dello stress e drogato di percentuali e marketing. Il lavoro diventa con il tempo un male cronico, incurabile, con tanto di sintomatologia annessa, insonnia, stati d’ansia e depressione, unico sollievo frequentare alcuni gruppi di ascolto per persone affette da malattie terminali, una forma voyeuristica di catarsi che in parte raggiunge il suo scopo.

A parte queste brevissime pause dallo stress regalate dalle riunioni, riunioni in cui incontra la stramba Maria cha il suo stesso hobby, la frustrazione aumenta in maniera esponenziale, finchè un bel giorno ecco spuntare l’eccentrico e fuori di testa Tayler Darden, rappresentante di saponette e indomabile anarchico.

I nostri due amici diventeranno inseparabili, cominceranno col mollare il lavoro, vivere insieme e organizzare incontri clandestini di combattimento a mani nude, il Fight Club, un arena segreta dove tutti sono ammessi, unica regola inviolabile mantenere il segreto. Il club diventerà  un modo per ristabilire un contatto con il proprio istinto animale, lontano dalle convenzioni, solo sangue, sudore e muscoli doloranti.

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Soffocare: recensione

locandina-italiana-di-soffocare-111343Victor Mancini (Sam Rockwell) ha alle spalle un’infanzia problematica e mancante di qualsivoglia figura di riferimento. Una madre schizofrenica che ne ha irrimediabilmente segnato in negativo la crescita e un padre mai conosciuto, fanno di Victor un ragazzino sballottato da una madre affidataria all’altra e cresciuto nell’incertezza.

Victor si ritrova così a vivere l’età adulta sul filo dell’anaffettività, ancorato ad una perenne ricerca d’affetto attraverso l’ossessione del sesso,  che ne segna il quotidiano a tal punto da dover frequentare delle riunioni che lo dovrebbero aiutare a controllare questo istinto compulsivo simile alla tossicodipendenza.

Tra una riunione e l’altra Victor si reca quotidianamente dalla madre ricoverata in una clinica, ha un lavoro come comparsa in un parco che ricostruisce eventi storici, e per pagare la sempre piu esosa retta della clinica, ogni sera si reca in un ristorante diverso e finge di soffocare per essere aiutato da qualche cliente che diventerà per Victor, in seguito ad una strana reazione emotiva, una fonte di guadagno.

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Brad Pitt: il curioso caso di William Bradley Pitt

Come il collega Johnny Deep, Brad Pitt non si è lasciato travolgere da effimere classifiche del più sexy o da copioni alla non sa recitare però che fico, si è più volte impegnato in ruoli rischiosi al limite della caricatura ma ne è quasi sempre uscito dignitosamente e superato il delicato punto di non ritorno, che separa il divismo dalla recitazione pura, ha cominciato a costruirsi un’identità d’attore e una tecnica immersiva propria e personale, che lo ha fatto crescere professionalmente ed artisticamente, superando la massiccia sovraesposizione mediatica denominata Brangelie effect, effetto collaterale della sua unione con la volitiva e altrettanto talentuosa Angelina Jolie.

William Bradley Pitt nasce nella cittadina di Shawnee in Oklahoma (USA) il 18 Dicembre 1963, padre dirigente in una ditta di trasporti, madre consulente liceale, cresciuto nel Missouri Brad, dopo il diploma, si iscrive all’università per poi lasciarla per seguire dei corsi di recitazione.

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David Fincher: l’esteta del male

David fincher è un regista che come i fratelli Ridley e Tony Scott, Michael Mann, ed altri colleghi provenienti dal mondo dei videoclip, ha uno sguardo particolare ed una visione che poco ha a che fare con un certo cinema d’autore che tralascia il contesto  estetico e dell’immagine per puntare tutta l’attenzione sulla recitazione, il cinema di Fincher è più incentrato su una visione fisica della pellicola, una lettura visiva che utilizza la fotografia, l’illuminazione e gli effetti visivi per affrescare ogni scena e  per curare maniacalmente ogni singola inquadratura, meticolosità figlia di spazi e tempi  estremamente ridotti e condensati tipici del mondo della pubblicità e dei videoclip musicali, che dà al lavoro di Fincher un’impronta visiva ben riconoscibile, un peculiare look, il suo Seven ne è un esempio, dark, gotico, ed estremamente inquietante.

Fincher è un cineasta originario di Denver (USA) classe 1962, il suo esordio nel mondo del cinema è nella società di effetti speciali Industrial Light and Magic dI George Lucas, il futuro regista si occupa degli effetti visivi de Il ritorno dello Jedi (1983), ed Indiana Jones e il tempio maledetto (1987), una gavetta coi fiocchi.

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Recensione: The italian job

Dopo un rocambolesco furto in quel di Venezia, con la sottrazione di una cassaforte colma di lingotti d’oro e conseguente fuga tra i canaloni della splendida città lagunare, la banda capeggiata da John Bridger (Donald Sutherland) si appresta a trasportare l’oro in un luogo più sicuro.

Ma l’avido e calcolatore Steve Frazelli (Edward Norton) ha progetti diversi per l’oro, progetti che non contemplano gli altri menbri della banda e durante il trasporto  riesce a sottrarre l’oro all’attonito gruppo e ad uccidere Bridger dileguandosi, convinto che anche gli altri membri della banda siano morti, ma cosi non è.

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Il curioso caso di Benjamin Button: Natale in casa Fincher

La genesi de Il curioso caso di Benjamin Button è stata lunga e non priva di problemi, ma siamo certi che la trasposizione di questo intrigante racconto breve di Scott Fitzgerald datato 1922, non poteva capitare in mani migliori, il genio dark  di David Fincher e la bravura di Brad Pitt coadiuvati da una splendida fotografia, una scenografia dai tratti gotici e retrò e una corposa dose di effetti digitali e make-up ci caleranno in questo mondo che per alcuni tratti caratteristici ci ricorda il surreale stile visionario del fiabesco universo di Tim Burton.

La storia narra di un certo Benjamin Button, a cui la natura in combutta col destino gioca un brutto tiro, immaginate che il tempo improvvisamente scorra in senso inverso, ma non il tempo che scandisce la vita di tutti i giorni, quello che regola giorno e notte, estate e inverno, solo quel particolare orologio interno che ognuno di noi ha, quell’orologio biologico che scandisce con invisibili e costanti rintocchi lo scorrere della nostra esistenza, bene adesso fermatelo e fate scorrere le lancette al contrario.

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Recensione: Never Back Down

Jake Tyler (Sean Faris) si è da poco trasferito ad Orlando con la sua famiglia, Margot (Leslie Hope), la madre da poco rimasta vedova e Charlie (Wyatt Smith), fratellino a cui dovrebbe dare il buon esempio, ufficialmente per dare la possibilità a Charlie di sfondare come campione di tennis, realmente perché, nell’ultima partita di football che ha disputato ha picchiato un avversario che aveva insultato la memoria del padre.

Nella nuova scuola, se inizialmente viene preso come lo sfigato di turno e calcolato solo da Max (Evan Peters), dopo, in seguito al filmato della rissa, che ha fatto il giro su youtube arrivando anche in Florida, diventa molto popolare.

Peccato, che la cosa non vada a genio a Ryan (Cam Gigandet), il ricco e famoso campione di MMA (Mixed Martial Art, una nuova arte marziale ancora non riconosciuta) che, per mantenere il primato di ragazzo più interessante dell’istituto, anche agli occhi di Baja (Amber Heard), la sua ragazza (interessata al nuovo arrivato), decide di dargli una lezione, malmemenandolo e umiliandolo ad una festa a casa sua. Preso dalla rabbia Jake decide di affidarsi al maestro Jean Roqua (Djimon Hounsou), per imparare ad indirizzare la sua forza e battere al torneo ufficiale Ryan.

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Edward Norton, tra carriera ed anticipazioni

Edward Harrison Norton, trentanovenne attore, regista e produttore cinematografico, è il maggiore di tre fratelli e dimostra fin da piccolo d’avere un amore per il teatro.

Dopo essersi diplomato alla Wilde Lake High School a Columbia nel 1987, si laureò nell’università di Yale in storia e cultura orientale. Grazie alla buona conoscenza della lingua giapponese, si trasferì in Giappone a Osaka dove lavorò per tre anni alla Enterprise Foundation, un’associazione di volontariato fondata dal nonno materno, architetto miliardario.

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