Sono tanti i film tratti da libri o liberamente ispirati a romanzi di ogni genere. L’opinione più ricorrente è che quasi sempre il film non rende giustizia al racconto del libro che invece ci aveva così preso.

A volte, succede invece, che sia proprio il film ad attirare più del libro, vuoi per la bravura di attori e registi, vuoi perché l’arte cinematografica è riuscita a dare un senso ad una storia che scritta sembrava non averne, ed ecco che il film diventa più famoso del libro.
Uno dei casi eclatanti in cui la trasposizione cinematografica è più nota dell’opera letteraria è “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards. Film del 1961 con una fantastica Audrey Hepburn, tratto dal romanzo di Truman Capote del 1958.

David fincher è un regista che come i fratelli Ridley e Tony Scott, Michael Mann, ed altri colleghi provenienti dal mondo dei videoclip, ha uno sguardo particolare ed una visione che poco ha a che fare con un certo cinema d’autore che tralascia il contesto estetico e dell’immagine per puntare tutta l’attenzione sulla recitazione, il cinema di Fincher è più incentrato su una visione fisica della pellicola, una lettura visiva che utilizza la fotografia, l’illuminazione e gli effetti visivi per affrescare ogni scena e per curare maniacalmente ogni singola inquadratura, meticolosità figlia di spazi e tempi estremamente ridotti e condensati tipici del mondo della pubblicità e dei videoclip musicali, che dà al lavoro di Fincher un’impronta visiva ben riconoscibile, un peculiare look, il suo Seven ne è un esempio, dark, gotico, ed estremamente inquietante.
