Recensione: Venerdì 13

Crystal lake è un campeggio che ha nel suo passato una tragica storia di efferati omicidi  e follia, lì un giovane ragazzo, Jason Voohrees viene lasciato affogare da alcuni sbadati e incompetenti animatori che impegnati a far altro non si accorgono del ragazzino in difficoltà.

La tragica conseguenza di quei fatti fu che anni dopo il fattaccio la madre di Jason, Pamela, scioccata dall’accaduto comincia a massacrare tutti i giovani animatori del campeggio in cerca di vendetta, per poi venire decapitata da una ragazza nel tentativo di difendersi dalla furia omicida della donna.

Jason che in realtà non era morto, decide che la madre dev’essere vendicata e armatosi di machete e indossato un sacco di tela a coprire il suo viso deforme, inizia una incredibile  sequela di omicidi spinto dalla voce della madre defunta di cui custodisce gelosamente la testa mummificata.

Sono passati molti anni e la pace sembra tornata a regnare su Crystal Lake, ma l’arrivo del giovane Clay Miller (Jared Padalecki) alla ricerca della sorella scomparsa in circostanze misteriose, smuove le acque placide del lago ridestando la follia sopita della tormentata cittadina e riarmatosi di machete e maschera da hockey Jason torna per l’ennesima a volta a praticare il suo sport preferito, lo sterminio di massa.

Marcus Nispel ci aveva già convinto quando si era messo a confronto con un cult del calibro di Non aprite quella porta, rispettando in parte l’originale ma puntando a dargli un look giusto per le nuove generazioni, e non spaventandosi, come in parte è successo a Rob Zombie per il suo Halloween, di fronte ad un punto di riferimento e ad un vera e propria icona della storia del cinema horror.

Questo Venerdi 13 è una sorta di celebrazione di una delle icone horror degli anni ’80, quel Jason Voorhees, che insieme a Freddy Krueger e MIchael Myers, ha segnato un’epoca e creato schiere di fan ed una montagna di  merchandising con cui non è facile confrontarsi.

Ma Nispel  ha ben miscelato violenza ed iconografia, riunendo in un unico film le origini, ed  aggiungendovi nuovi e sanguinosi omicidi ad alto tasso slasher e tralasciando tutta la parte più sovrannaturale che aveva connotato la serie dal terzo capitolo in poi.

Giovani attori, una location suggestiva aiutata da un’ottima fotografia e un nuovo Jason con un look al passo coi tempi, fanno di questo film un ottimo slasher che traghetta la mitica maschera da hockey nel nuovo millennio, dandole nuova forza ed uno stupefacente vigore visivo, ma dobbiamo essere sinceri, più che dell’indiscusso merito del regista c’è la forza comunicativa ed il carisma, mai totalmente comprensibili, di un serial-killer cinematografico che è negli anni diventato mito.