Recensione: Superman Returns

Bryan Singer è il regista che ha orchestarto, ancora una volta, le gesta del supereroe per eccellenza, rinnovando la confezione e il cast, e dando qualche sfumatura in più qua e in là ai personaggi.

Il film è del 2006, quando l’ho visto al cinema mi chiedevo quale fosse il nesso con la vecchia serie, quella interpretata dal compianto Christopher Reeve. Superman (Brandon Routh) se n’è andato.

Sono cinque anni che manca da casa, alla ricerca delle proprie origini, alla ricerca del pianeta Crypton. Dal canto suo, anche Lex Luthor (Kevin Spacey) si è dato da fare: la sua amante Gertrude Vanderworth (Noel Neill) molto anziana gli lascia un’eredità pazzesca.

Dopo essersi immolato in siffatta impresa, Lex si ritrova tra le mani una fortuna da investire in ciò che sa fare meglio: studiare il modo di rompere le scatole a Superman e, perchè no, all’intera umanità. Per questo si impegna nel tentare di sviscerare i segreti dei cristalli provenienti da Krypton e dell’avanzatissima tecnologia dei Kryptoniani.

Superman nel contempo torna a casa, e cerca di rientare nei vestiti ormai vecchi di cinque anni del mitico Clark Kent. Le cose non sono però esattamente come le aveva lasciate: il suo grande amore Lois Lane (Kate Bosworth), convive con un uomo, ed ha pure un figlio. Non ci si può allontanare per un minuto.

Il mondo si rende immediatamente conto del bisogno che ha di Superman dal momento in cui Luthor manda in tilt il sistema di controllo di un aereo super-tecnologico, su cui viaggia Lois; l’intervento di Superman è fondamentale per risolvere la situazione.

Supereman si chiarisce con Lois, in una scena che li trasporta a volare, di nuovo, in cielo, come facevano un tempo: tuttavia Lois ormai deve occuparsi di Jason, suo figlio, e afferma che la sua vita ha ormai preso una direzione piuttosto definitiva. L’importante è chiarirsi.

Le sorprese non sono finite: Lois indaga sul blackout che l’ha quasi (indirettamente) uccisa, e così facendo viene rapita da Luthor, assieme al figlioletto Jason. Questi rivela immediatamente poteri straordinari, momentaneamente attraverso una forza decisamente sovrumana.

Dopo immani peripezie, lo scontro finale avviene sull’isola di Luthor, imbottita di kryptonite. Superman perde i poteri, e Lex si toglie la soddisfazione di percuoterlo e sbeffeggiarlo come si deve. Con uno sforzo pazzesco, che gli costa quasi la vita, ritrova i suoi poteri, solleva l’isola (avete letto bene, scena da vedere), e Luthor viene sconfitto e rimane bloccato in un isola deserta.

Superman finisce in ospedale, e poi, consuetamente, si rioprende; la prima cosa che fa, non appena si è ripreso, è andare a parlare nel sonno a Jason, che ormai siamo praticamente certi essere suo figlio. Il film, come potete immaginare, non è un vero e proprio sequel.

Si tratta di una ripresa, che mantiene parte della semantica che Batman Begins contiene nei confronti dei film con Michael Keaton. In questo caso c’è un accento in più, un’occhiata lanciata al passato tutta raccolta nel “Returns” del titolo. Del resto non riesce a reinventarsi fino in fondo, forse proprio per la fortissima connotazione caratteriale del personaggio che in qualche modo ne direziona e ne condiziona l’interpretazione.