Il grande sentiero, recensione

locandinaUna tribù di circa trecento Cheyenne viene confinata all’interno di una riserva dell’oklahoma che però si rivela inadatta a mentenerli in vita e ormai arida e senza risorse sfruttabili. Consapevoli che ben presto potrebbero morire d’inedia, e oramai certi che una fantomatica commissione governativa promessa dal governo non arriverà mai, la tribù si incammina percorrendo duemila chilometri per raggiungere le terre un tempo abitate dai loro avi.

L’esercito saputo dell’esodo in massa affida al capitano Thomas Archer (Richard Widmark) il compito di riportare indietro i Cheyenne e nel caso sedarne con la forza un’eventuale ribellione, ma la tribù strematà dalle fatiche del lungo viaggio e a corto di acqua e cibo in principio si arrende alla truppa.

Purtroppo per l’ennesima volta l’esercito e il governo americano continuano ad essere indifferenti alle loro richieste, ed in un moto di rabbia i Cheyenne si danno alla fuga, ribellandosi ai soldati nonstante il rigido inverno e le precarie condizioni fisiche. Il capitano Archer colpito dal loro coraggio e consapevole dell’impossibiltà della tribù di sopravvivere a quel viaggio, si farà intermediario con il governo perchè le loro richieste vengano esaudite.

John Ford gira uno dei suoi ultimi film e saluta il suo genere prediletto con un affresco storico basato su una storia vera, un racconto d’ampio respiro che omaggia il genere innescandone la parte visivamente più suggestiva e omaggiando gli indiani d’America con un barlume di realtà storica.

Un cast di gran lusso al servizio di una partecipata ricostruzione storica, tra i protagonisti  un intrigante James Stewart nel ruolo di Wyatt Earp, Ricardo Montalban in quello del pellerossa Little Wolf e Richard Widmark è il capitano Thomas Archer, coscienza cinematografica dell’America colonialista.

Il grande sentiero è un film carico di suggestioni che Ford girò come un epico e indimenticanbile testamento fatto di immense location che comprendono Colorado, Utah e un altro simbolo del genere, un’icona indelebile che equivale ad un marchio di fabbrica anche per il regista, l’imponente e maestosa Monument Valley.