Don’t say a word: recensione

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Lo psichiatra Nathan Conrad (Michael Douglas) si trova ad affrontare una situazione molto rischiosa e dai risvolti imprevedibili, sua figlia viene rapita da una banda di criminali che invece del canonico risctto intima allo psichiatra di carpire informazioni da una sua paziente, la giovane Elizabeth Burrows (Brittany Murphy) afflitta da turbe psichiche.

Elizabeth soffre di improvvisi attacchi d’ira ed è molto aggressiva, Conrad la considera un soggetto difficile visto il trauma subito dalla ragazza, Elizabeth ha assistito all’uccisione del padre membro di una banda di rapinatori.

Nella memoria della ragazza sono nascosti gli indizi per ritrovare una preziosa refurtiva nascosta dal padre di lei anni prima, refurtiva frutto di una rapina finita nel sangue. Nathan ha poco tempo per entrare nell’impenetrabile e silenzioso mondo in qui si è trincerata la ragazza, lei è l’unica che può salvare sua figlia.

Don’t say a word è un intrigante thriller che vanta una regia molto convenzionale, atmosfere suggestive ed una fotografia veramente superlativa. Parliamoci chiaro proprio nulla di nuovo sotto il sole, i clichè del genere sono decisamente rodati ed utilizzati nel modo più scontato possibile, ma questo non inficia l’ottimo lavoro svolto da Michael Douglas e dalla bravissima Brittany Murphy decisamente in parte e a proprio agio.

L’Idea alla base è semplice, utilizzare il thriller a sfondo psichiatrico miscendolo con i canoni del giallo classico e la mente della giovane protagonista come impenetrabile scrigno di una caccia al tesoro decisamente impegnativa e pericolosa.

Don’t say a word funziona, scorre su binari ben consolidati, qualche guizzo interpretativo dei protagonisti, qualche colpo di scena funzionale atto a tener alta la tensione, una regia solida ed una sceneggiatura ricca di sfumature che ben catturano le atmosfere del romanzo omonino di Andrew Klavan.

La conclusione nonostante ciò e che dopo la visione si ha la netta sensazione di essere di fronte ad un film che non possiede un’identità abbastanza forte che lo possa trasformare in qualcosa di veramente memorabile, un vero peccato.