Recensione: Natale a Rio

Piero (Ludovico Fremont) e Marco (Emanuele Propizio) sono due giovani dell’accademia militare in congedo per 14 giorni, che sognano di andare in vacanza a Rio, ma non hanno il coraggio di dirlo ai propri genitori, il palazzinaro Paolo Berni (Christian De Sica) e il professore di Etica Mario Patani (Massimo Ghini), con cui sono costretti a passare le vacanze. I ragazzi non sanno, però, che i due uomini divorziati non vogliono averli tra i piedi, perché hanno deciso di partire per il Brasile anche loro per il Brasile.

Dopo essersi raccontati un mucchio di bugie, i ragazzi sostengono di voler fare un viaggio culturale a Madrid, i genitori di dover rimanere a casa a fare la classica tombolata in famiglia, tutti e quattro partono per la meta predestinata, ma a causa di omonimia si scambiano le abitazioni: Piero e Marco finiscono in un residence extralusso e Paolo e Mario nell’ostello dei figli. Come se non bastasse nella città Carioca ci sono pure le ex mogli a rifarsi il seno.

Nell’altra storia, Linda (Michelle Hunziker) decide di presentare, a suo padre, Gianni (Paolo Conticini), il futuro sposo (traditore), ma prima di partire per il Sudamerica, pensando di chattare con lui su internet, finisce per illudere il povero Fabio (Fabio De Luigi), che da sempre la ama di nascosto e che decide di passare le vacanze con lei senza sapere di essere soltanto il terzo incomodo.

Natale a Rio, l’ennesimo cinepanettone diretto da Neri Parenti, è una commedia brillante, che è nettamente meglio delle precedenti per quanto riguarda gli intrecci, ma che ha pur sempre delle falle visibili a tutti.

Cosa funziona: sicuramente l’idea di accoppiare il personaggio colto di Ghini, con quello cafone di De Sica (che rimane, dopo 25 anni, ancora la nota più lieta dei film di questo genere), con dialoghi ben direzionati a far scattare la facile battuta di quest’ultimo; la freschezza dell’accoppiata Fremont- Propizio, che non sono i classici bellocci a cui tutto e dovuto, ma dei furbacchioni mezzi imbranati, che hanno voglia di divertirsi; il tentativo di inserire un filone brillante/romantico all’interno della storia, con le vicende di Fabio e Linda.

Cosa non funziona: il continuo uso di pubblicità che è fastidioso e grossolano (si va dallo spot ad un sito di incontri online, alla pubblicità alla Pay Tv, dalle compagnie di viaggi a quelle di vestiario, fino alla sempre presente compagnia telefonica); il doppiaggio dei personaggi secondari è osceno; Michelle Hunziker è improponibile nella recitazione (non basta aver fatto Love Bugs ed essere delle simpatiche e professionali showgirl per fare le attrici), meglio quando fa da spalla a De Luigi (piacevole, ma non eccelso: sembra uguale a quando sponsorizza una marca di detersive e a quando conduce Le Iene, ma almeno ha i tempi comici); la facile morale, rispetto allo stereotipo dell’italiano puttaniere.

Concludendo: seppur i contro siano più dei pro, non si può bocciare a prescindere Natale a Rio, perché alla fine il film, che si prende pure la libertà di irridere Scusa ma ti chiamo amore, è gradevole, ben strutturato e non ambisce a vincere l’Oscar, ma a far divertire gli italiani durante le vacanze e la missione, in questo senso, è riuscita e con meno parolacce del solito.