Django Unchained, recensione in anteprima

E’ un momento che aspettavamo da tanto. Qualcuno di noi lo attende dall’uscita di Bastardi senza gloria. Altri ci avevano perso le speranze. Il momento, comunque, è arrivato. Abbiamo visto Django Unchained. Tra qualche giorno lo vedranno tutti e noi lo abbiamo visto prima per parlarvene. In punta di piedi, come si fa quando ci si presenta dinanzi ad un’opera disvelata dopo mesi e mesi di hype, ma con decisione. Come quando si volge lo sguardo verso di essa. Il nostro, di sguardo, è stato ripulito da ogni filtro, da ogni considerazione inerente alle precedenti pellicole di Tarantino.

Già, perché qui Tarantino ha provato a ‘giocare in casa’. Django è un po’ il suo modo di pagare un tributo alla ‘Vecchia scuola’ del western all’italiana. La filosofia del ‘Paid your dues’ è sacra per gli americani, chiedetelo alla cantante Anastacia.

Quentin Vs Sergio & Sergio

Meglio uno spaghetto di un hamburger, non solo per la dieta mediterranea. Avrà pensato a ciò Quentin Tarantino nello scegliere se ispirarsi a un western di casa nostra o ad un western made in Usa. Non si può certo dire che il suo sia un cinema ‘da fast food’, ma avevamo detto ‘niente preconcetti’, per cui procediamo.

Django è la storia di un’amicizia. L’amicizia tra un cacciatore di taglie e uno schiavo nero. Il primo libera il secondo. Entrambi liberano il cinema dalle gabbie del trend. Ma questa è un’altra storia. La storia di Django è improntata sullo schiavismo, sulla voluttà dei servi che si piegano a novanta nei confronti dei loro padroni. Nel caso di Django diventano ancora più razzisti dei datori di lavoro.

Eccolo, dunque, lo schiaffo morale ai mercenari (qualunque sia il loro colore, il loro partito e il loro settore) nell’anno domini 2013.

Quentin Tarantino fa suonare Bacalov e Rocky Roberts nei titoli di testa. Pronti via, sono subito citazioni su citazioni, idee surreali miste a concretezza. Fantasia che si fa cinema, cinema che si fa fantasia. Senza diventare però Fantascienza. Qui siamo nel West, quello italiano, che spara ai tutorial con i quali gli americani fanno lo stesso genere, e parla di realtà.

Tarantino non sa parlare di realtà senza astrarsi al 100% da essa. Lo si vede dai suoi occhi. Banalmente, nel mondo dei comuni mortali, la sua è definita follia. Più tecnicamente, nell’universo sconfinato della settima arte, il Cinema di Tarantino viene catalogato come “Il cinema di Tarantino”. Anche quando scomoda i due Sergio, Corbucci e Leone, come in questo caso.

Così, per farla breve, se l’uomo immagina il suo cinema diventa immaginazione. Niente più catene, né per Django né per la settima arte, dunque.

Il giudizio del Cinemaniaco

Quando sei nato nell’era post-moderna e vieni a contatto con i mostri sacri del genere che più ami, puoi fare due cose: copiare spudoratamente o bleffare. Tarantino ha scelto, come sempre del resto, la seconda via. Spieghiamoci: Django Unchained non è uno spaghetti western al 100%. Il western serve a Tarantino come lasciapassare per parlare di un tema molto più profondo, sempre attuale, radicato nell’animo di ognuno: il razzismo, misto a schiavismo. Tarantino lo fa senza mezzi termini. Ha aperto la luce (gli occhi dello spettatore) senza preoccuparsi di chi deve pagare la bolletta. Quando esci dal cinema dopo aver visto Django pensi due cose: la prima è che Bastardi senza gloria in confronto è una barzelletta su Hitler. La seconda è che Samuel L. Jackson è tornato a brillare come ai tempi di Pulp Fiction.

Voto: 8.5

Scheda Film

USCITA CINEMA: 17/01/2013
GENERE: Western
REGIA: Quentin Tarantino
SCENEGGIATURA: Quentin Tarantino
CAST: Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jonah Hill, Kerry Washington, Tom Savini, Gerald McRaney, Tom Wopat, James Russo, James Remar, Todd Allen, Don Johnson.

Trailer