Voce del verbo amore: recensione

la-locandina-di-voce-del-verbo-amore-39617Dopo un prologo in cui conosceremo la bella storia d’amore tra Ugo e Francesca, i momenti più importanti e intensi, finiti i quali passiamo alla fine della storia che coincide con l’inizio del racconto, quando l’idilliaco sogno si è incrinato e dopo dieci anni di comune accordo la coppia si separa.

Ugo (Giorgio Pasotti) è un giovane architetto, ha un obiettivo nella sua vita lavorativa diventare un associato del prestigioso studio in cui lavora, mentre Francesca (Stefania Rocca) gestisce una serra nel centro di Roma con Gioia, sua amica e socia, divorziata e con l’abitudine di sciorinare consigli sulla vita sentimentale altrui, e sull’amore in generale.

Sullo sfondo altri personaggi di varia umanità che si sfiorano, si raccontano e che cercano, nel loro piccolo, di descriverci le molte declinazioni della parola amore.

Maurizio Costanzo scrive la sceneggiatura e il regista Andrea Manni mette su schermo una serie di situazioni tipiche della fiction neo-romantica del nuovo millennio, che purtroppo sa un pò troppo di piccolo schermo per risultare credibile e coinvolgente.

Il problema non è definire i confini tra tv e cinema, il problema si avverte quando uno script palesemente televisivo tenta di dilatarsi e adattarsi al grande schermo, naufragando sulle sue evidenti fragilità narrative, che se funzionali e solide sul piccolo schermo, in questo caso minano tutta l’operazione.

Ad una buona commedia si chiede di non tediare con la retorica da cioccolatino, di non diventare un fumettone rosa stucchevole, insomma assumere una veste più matura e di spessore senza per questo risultare noiosa.

Qui l’accoppiata Pasotti/Rocca non può far molto, tutto è troppo caricato, compiaciuto e  accomodante, una fiaba rosa che ammicca ad una televisione che simula le emozioni e provoca artificiosamente le lacrime, ecco, edulcorato sembra il termine giusto per raccontare l’anima di questo film.

Nessuno chiede ad una commedia a tinte romance di raccontare la realtà, ma almeno di simularne il suo evolversi o involversi  in modo credibile senza trasformarsi in una chiassosa e plastificata imitazione della vita.