The Terminal: recensione

New York, Victor Navorsky (Tom Hanks) è appena arrivato negli Stati Uniti, pronto per varcare la dogana dell’aereoporto John Fitzgerald kennedy, ma viene fermato a causa di un colpo di stato avvenuto nella sua nazione che ne ha invaidato passaporto e identità, non solo, vista la drammatica situazione in cui versa il suo paese a Victor è vietato anche il rimpatrio, e così l’uomo si rtirova bloccato all’interno del terminal in attesa di sviluppi.

Gli sviluppi purtroppo tardano ad arrivare, passano dei mesi e Victor è costretto a vivere fisicamente in questo luogo strano e in un primo momento ostico, ma al contempo vivo e popolato di tanti personaggi che stringeranno, dopo un primo momento di diffidenza, un forte sentimento di amicizia e solidarietà con il simpatico prigioniero per caso.

Durante il soggiorno forzato Victor imparerà l’inglese, scoprirà tanti amici, capirà molto della burocrazia americana e troverà l’amore, conoscendo la bella hostess Amelia (Catherine Zeta-Jones) con cui condividerà i più intimi segreti tra cui  un misterioso barattolo in cui è contenuto l’ultimo desiderio del padre defunto.

Steven spielberg riesce per l’ennesima volta a sorprendere, questa storia, che nei primi minuti spiazza e sconcerta proprio perchè si svolge interamente in un terminal, con lo scorrere dei minuti, la caratterizzazione dei personaggi e con la magia quasi infantile del Victor di Tom Hanks ci travolge, e questo nonluogo perde la sua limitatezza per diventare una popolosa città di frontiera in miniatura piena di sorprese, strambi abitanti e calore umano.

The Terminal prende i clichè tipici del romance e li trasforma in qualcosa di più profondo e universale di quanto non sembrerebbe a prima vista. Ci si commuove e sorprende per la surreale situazione di Victor, e si sorride durante le esplorazioni e l’adattamento alla nuova vita dello straniero all’inseguimento del sogno americano, un Tom Hanks veramente buffo, malinconico e disarmante. Vivamente consigliato.