Recensione: No problem

Arturo Cremisi è il padre ideale di una fortunata serie televisiva dal titolo Un bambino a metà. L’altro protagonista è il biondo Federico. Nella serie tra padre e figlio, un amore sconfinato. Nella realtà un’aperta e dichiarata competizione. A curare la carriera di Federico è la madre Barbara, press agent di ferro, con conoscenze importanti nelle stanze del comando. Rapporti e vita sul set sono tutt’altro che facili.

Un giorno nella vita di Arturo entra in scena Mirko, sei anni, minuto, capelli scuri, uno sguardo impaurito, quasi implorante. Una famiglia allo sfascio alle spalle, un padre morto, una madre giovane bella e ribelle, uno zio squinternato. Finzione e realtà si confondono al punto che Mirko, per una sorta di transfert, sceglie Arturo come suo padre.

L’ossessiva richiesta d’amore del bambino, l’attenzione del pubblico intorno all’insolita vicenda, i pressanti suggerimenti di Enrico Pignataro, amico e volenteroso agente, di sfruttare l’interesse dei media costringeranno Arturo ad interpretare anche nella vita il ruolo della fiction. Un ruolo di padre fittizio che trascinerà Arturo in una spirale di situazione sempre più paradossali ed esilaranti.

No problem, di e con Vincenzo Salemme, Giorgio Panariello, Sergio Rubini, Aylin Prandi, Iaia Forte, Cecilia Capriotti, Anna Proclemer, Oreste Lionello, Gisella Sofio, Teresa del Vecchio, Giulio Maria Furente e Leonardo Bertuccelli, protagonisti chi più, chi meno, di un film improntato sulla fiction televisiva. Pur volendo, sulla carta, evitare la trappola della soap, Salemme ne replica i luoghi comuni, aderendo esteticamente a quel mondo.

Dopo una prima parte in cui si ironizza con cattiveria sul narcisismo di Arturo e sull’ipocrisia delle fiction televisive, assistiamo a un secondo tempo in cui Salemme cambia registro buttandola sul sentimentale a sfondo sociologico, anche se il motore che dà avvio alla storia si fonda sull’equivoco dello scambio di paternità. Questo slittamento non giova alla salute del cinema di Salemme, che può essere farsesco e non superficialmente riflessivo.

La sua bravura a livello teatrale è indiscutibile, così come il suo passato e la sua esperienza con il teatro di De Filippo e Scarpetta, ma il cinema è tutta un’altra cosa, e lui dovrebbe saperlo.

Per quanto riguarda il livello recitativo generale, si salva Giorgio Panariello, che giostra bene il personaggio, proprio perché ha la possibilità di svariare, dando libero sfogo a tutto il suo estro e a tutta la sua gamma di espressioni, nel rappresentare le varie personalità di un uomo con problemi psichici, anche se al cinema, il caro Giorgio, non trova ancora la pedalata giusta.

Buona prova di recitazione anche per Sergio Rubini, che fa ritorno al cliché farsesco, e per l’occasione diventa re degli strafalcioni: “Sei partito per la tangenziale”, “Hai grattugiato il barile”, “Deve essere un problema di campo magnesio”, il quale aiuta e non poco, a dare alla commedia una propria identità.

In definitiva, un film che ha strappato qualche sorriso al pubblico, con un teatrante Vincenzo Salemme che, cinematograficamente, poteva fare di più.