Film parodia di Re Artù, Monthy Python e il Sacro Graal

Oggi per lo spazio dedicato alle parodie cinematografiche ci cimentiamo con la leggenda di Re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda e il mito del Sacro Graal, elementi della suggestiva mitologia bretone saccheggiati a piene mani e a più riprese dal cinema di sempre spaziando dai classici made in Hollywood come il fantasy epico Excalibur, l’avventuroso terzo capitolo di Indiana Jones, il classico Disney La spada nella roccia e il romance cavalleresco L’ultimo cavaliere, fino alla nostrana versione fantozziana Eschinzibur nel celebrativo SuperFantozzi.

Nel 1975 il gruppo di comici inglesi conosciuti come Monthy Pyton sforna Monthy Python e il Sacro Graal, primo lungometraggio con una trama articolata confezionato a bassissimo costo dal gruppo di scatenati comici britannici e diretto a quattro mani da Terry Gilliam e Terry Jones.

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Il grande dittatore, recensione

Un soldato di fanteria e barbiere ebreo (Charlie Chaplin) sul finire del primo conflitto mondiale, durante un’azione in battaglia, salva la vita ad un pilota suo connazionale rimettendoci però la memoria e finendo ricoverato in un ospedale per diversi anni.

Nel frattempo la sua patria, la Tomania sta attraversando il periodo più buio e violento della sua storia, il dittatore Adenoid Hynkel (Charlie Chaplin) ha preso il potere con la ferma intenzione di liberarsi dei cittadini ebrei, che relegherà in un ghetto e puntando, spinto dal suo folle ego e dal suo ambizioso ministro dell’interno Garbitsch (Henry Daniell), non solo a conquistare il mondo, ma ad instaurare il predominio di una nuova e perfetta razza ariana.

Mentre Hynkel con l’aiuto di Garbitsh e delle sue camice grigie perseguiterà e vesserà l’inerme popolazione ebrea, l’eroico e smemorato barbiere fuggirà dall’ospedale in cui è ricoverato tornando alla sua bottega, ignaro che siano passati oltre vent’anni e che la Tomania sia sotto il giogo nazista.

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Chi si ferma è perduto, recensione

img_160901_lrg (300 x 435)I ragionieri Antonio Guardalavecchia (Totò) e Giuseppe Colabona (Peppino De Filippo) amici e colleghi d’ufficio sono uniti dall’odio verso lo zelante capufficio Cesare Santoro (Luigi Pavese) che non manca di redarguirli e minacciarli di trasferimento ad ogni occasione per il loro comportamento poco professionale tenuto sul posto di lavoro.

I due si danno manforte, almeno sino a quando Santoro non passa a miglior vita, il che lascia vacante il posto di capufficio, ruolo a cui i due aspirano da tempo, questo sarà l’inizio di una vera e propria battaglia senza esclusioni di colpi bassi per la successione. Nel frattempo un ispettore verrà a controllare la loro documentazione per decidere chi dei due sia il più adatto a succedere a Santoro.

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Recensione: No problem

Arturo Cremisi è il padre ideale di una fortunata serie televisiva dal titolo Un bambino a metà. L’altro protagonista è il biondo Federico. Nella serie tra padre e figlio, un amore sconfinato. Nella realtà un’aperta e dichiarata competizione. A curare la carriera di Federico è la madre Barbara, press agent di ferro, con conoscenze importanti nelle stanze del comando. Rapporti e vita sul set sono tutt’altro che facili.

Un giorno nella vita di Arturo entra in scena Mirko, sei anni, minuto, capelli scuri, uno sguardo impaurito, quasi implorante. Una famiglia allo sfascio alle spalle, un padre morto, una madre giovane bella e ribelle, uno zio squinternato. Finzione e realtà si confondono al punto che Mirko, per una sorta di transfert, sceglie Arturo come suo padre.

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