Il grande dittatore, recensione

Un soldato di fanteria e barbiere ebreo (Charlie Chaplin) sul finire del primo conflitto mondiale, durante un’azione in battaglia, salva la vita ad un pilota suo connazionale rimettendoci però la memoria e finendo ricoverato in un ospedale per diversi anni.

Nel frattempo la sua patria, la Tomania sta attraversando il periodo più buio e violento della sua storia, il dittatore Adenoid Hynkel (Charlie Chaplin) ha preso il potere con la ferma intenzione di liberarsi dei cittadini ebrei, che relegherà in un ghetto e puntando, spinto dal suo folle ego e dal suo ambizioso ministro dell’interno Garbitsch (Henry Daniell), non solo a conquistare il mondo, ma ad instaurare il predominio di una nuova e perfetta razza ariana.

Mentre Hynkel con l’aiuto di Garbitsh e delle sue camice grigie perseguiterà e vesserà l’inerme popolazione ebrea, l’eroico e smemorato barbiere fuggirà dall’ospedale in cui è ricoverato tornando alla sua bottega, ignaro che siano passati oltre vent’anni e che la Tomania sia sotto il giogo nazista.

Uno dei grandi divi del cinema muto Charlie Chaplin, ad un decennio circa dall’avvento del sonoro, si cimenta con la sua prima pellicola parlata confezionando una delle parodie più riuscite della storia del cinema, satira pungente e spietata che purtroppo invece di arrivare come consuetudine dopo gli eventi narrati, ne testimonierà il tragico svolgimento, anticipandone il terrificante epilogo.

Chaplin grazie anche ad una sorprendente somiglianza con Adolf Hitler ne inscena una perfetta e grottesca imitazione, il suo discorso al popolo ariano e il balletto con il mappamondo sono da antologia, mentre il suo repertorio più classico fatto di gag fisiche, inseguimenti e spassose risse occupa la maggior parte del film riducendo i dialoghi all’osso e visto il risultato, la scelta si rivela senza dubbio azzeccata e puntata a non snaturare le origini del suo vagabondo Charlot.

Anche se lo stesso Chaplin col senno di poi, testimone dell’eccidio nazista che rappresentò il culmine della follia di Hitler, rivalutò l’eccessivo tono farsesco della sua opera rispetto alla tragedia dell’Olocausto, Il grande dittatore visto a distanza di anni riesce con incredibile maestria a mostrarci come dovrebbe essere la vera satira, quella apolitica e al contempo schierata con una libertà creativa squisitamente anarchica, elementi sconosciuti a molti degli odierni comici nostrani, che della satira purtroppo hanno ben altro concetto.

Note di produzione: la versione da noi visionata è quella del ’72 con il doppiaggio  di Oreste Lionello, ma ne sesistono altre due, l’originale del ’49 e una terza dell”87 con la voce di Claudio Trionfi. Il film come era prevedibile subì molte censure durante il periodo pre-bellico, ma riuscirà ad uscire inghilterra già nel ’41 mentre in Italia si dovrà attendere fino al 1945. Nel cast nel ruolo di una bella e battagliera ragazza ebrea compare Paulette Godard, attrice che già aveva lavorato con Chaplin in Tempi moderni.