Recensione: L’impero dei lupi

Anna (Arly Jover) è in un periodo cupo e depresso della sua vita, soffre di continue allucinazioni ed incubi notturni, ha la strana sensazione di perdere la propria identità, di non sapere chi sia in realtà,  un senso di straniamento che la porta a credere che il marito sia un impostore e tutta la sua vita un’immensa montatura creata ad arte per chissà quale oscuro scopo.

Man mano che gli incubi aumentano e la sensazione di non appartenere a quella vita si fa più forte, senza dire nulla al marito, che ottimista le sconsiglia qiulsiasi supporto medico preferendo imbottirla di tranquillanti, Anna si rivolge ad una psichiatra in cerca d’aiuto, e scavando in profondità qualcosa nelle paranoie della donna sembra avere fondamento nella realtà.

In parallelo il detective Norteaux (Jocelin Quivrin), scrupoloso e ligio al dovere viene affiancato al collega Schiffer (Jean Reno), agente dal nebuloso passato e dai metodi poco ortodossi. I due dovranno scoprire chi c’è dietro gli omicidi seriali che avvengono in città, e tra un vivace interrogatorio e l’altro la coppia di agenti troverà un legame tra gli omicidi e l’irreprensibile casalinga Anna.

Tratto da un famoso best seller dello scrittore francese Jean-Cristophe Grangè, L’impero dei lupi è un solido thriller che attinge dalle atmosfere cupe e suggestive di film come I fiumi di porpora, altro thriller tratto da un romanzo dello stesso Grangè. Fotografia splendida e una regia di classe per il francese Chris Nahon, nonchè recitazione enfatica per un Jean Reno sempre più gigione e coinvolgente ed una protagonista, l’intensa Arly Jover, veramente efficace nel trasmettere la sensazione di spaesamento del suo personaggio.

Il regista  manneggia con eleganza un copione che se nella prima parte stenta a trovare dimensione e ritmo, con l’evolversi della trama trova un’identità forte e si fa coinvolgente e teso al punto giusto, certo siamo lontani dallo stile di un Matthieu Kassowitz e dalle atmosfere del suo I fiumi di porpora, ma superata la lentezza e prolissità della fase iniziale, comunque vitale per un corretto dipanarsi  della storia, il resto è godibile e coinvolgente, e la tecnica del regista risulta veramente ineccepibile, così come la recitazione della sempre brava Laura Morante.