Recensione: Autumn in New York

Will Keane (Richard Gere) è un uomo vissuto, dal passato ricco di relazioni che non si aspetterebbe assolutamente di trovare nella giovanissima e sensibile Charlotte (Winona Ryder) qualcosa che lo potesse coinvolgere a tal punto.

D’altronde come si sa l’amore oltre che cieco si diverte a sorprendere ed a sconvolgere vite e convincimenti, e lentamente Will scopre un legame forte che sente pericolosamente tramutarsi in un sentimento che lo spaventa.

Sono vari i problemi a cui Will deve far fronte, oltre l’evidente differenza d’età, l’imbarazzo di una relazione avuta anni prima con la madre di Charlotte, e cosa più grave e destabilizzante una malattia allo stato terminale, che da alla ragazza un’aspettativa di vita molto breve.

Chiunque avrebbe gli stessi problemi e dubbi del protagonista, che si sente quasi soffocare da questo sentimento che crescendo va di pari passo con il pensiero costante di dover affrontare la morte di Charlotte, paura di non poterne sopportare il peso, terrore di rimanerne irrimediabilmente sopraffatto.

Ma la malattia e questa sensazione di imminente perdita aiuterà la coppia, nel poco tempo a disposizione, a vivere il sentimento ed il momento il più intensamente possibile, e per qualche attimo, a dimenticare tutto il resto.

L’epilogo sarà quello inevitabile e straziante della vita vera, quella che prende e che toglie senza pensare troppo alle conseguenze, come un giudice che applica la legge senza alcun dubbio, inesorabilmente.Sarà comunque l’amore,  incomprensibile ed imperfetto, che alla fine lenirà, con l’aiuto del tempo, la sofferenza.

Autumn in New York, è stato più volte messo a confronto con un classico come Love story, per carità è giusto cercare modelli con cui raffrontare il film, fa parte dell’analisi critica, ma sinceramente eviterei paragoni imbarazzanti, nonostante l’evidente intento dell’operazione di richiamare le atmosfere e le suggestioni di questo classico.

Purtroppo l’alchimia tra i protagonisti, che è basilare in film di questo genere, qui latita. Richard Gere è ottimo professionista e quando vuole sa emanare fascino a comando, la Ryder è spenta e decisamente poco in parte, non parlo della parte prettamente intima, quella dell’approccio di lei alla consapevolezza dell’ineluttabilità della propria morte, che l’attrice affronta con un rigore da Actor’s studio, ma della parte dell’innamoramento, il cuore del film, la più importante, ed in questo caso la parte più debole.

Tutti i problemi ed i litigi avvenuti tra la coppia sul set, si riflettono inesorabilmente sulle interpretazioni, già la differenza di età è recitativamente grosso ostacolo nel creare una storia d’amore credibile, qui si aggiungono due modi di approcciare la recitazione estremamente diversi.

Purtroppo, come ci insegna un’altro flop che ha avuto i medesimi problemi di partneraggio, parliamo del film Sei giorni e sette notti con la coppia harrison Ford/Anne Heche, una giusta intesa sul set è ingrediente indispensabile per la riuscita di un film a due.

Quindi Autumn in New York è un’operazione sfortunata, minata da un grave errore a livello di casting, e dall’operazione ne esce un melodramma pulitino che manca del giusto appeal, tutto visivamnte funziona, la regia sensibile ed elegante dell’attrice Joan Chen è adeguata, alla fine sicuramente ci si lascia coinvolgere dal pathos creato ad arte dal tragico epilogo, ma resta forte al termine della visione, la sensazione che qualcosa in questo film non abbia funzionato.