L’immortale, recensione

Charly Mattei (Jean Reno) è uno dei vecchi padrini dei clan mersigliesi che si spartiscono i traffici illeciti della città, per un affare di droga qualcuno storce il naso e Mattei si ritrova riverso in una pozza di sangue all’interno di un garage sotterraneo crivellato da 22 colpi.

Purtroppo per chi ha organizzato l’agguato Mattei sopravvive, riporta ferite gravi, ma non mortali e decide, contro il parere dei suoi uomini, di non attuare nessuna  ritorsione, neanche quando si scopre che il traditore è celato tra le persone a lui più vicine.

La scelta di Mattei si rivelerà inutile perche il suo braccio destro verrà ucciso e fatto a pezzi con tanto di efferato souvenir inviato al padrino via posta, sarà la goccia che farà traboccare il vaso, ora è una questione d’onore chiunque abbia partecipato o assistito al massacro dovrà morire, non ci sarasnno sconti e pietà per nessuno.

Luc Besson torna in veste di produttore e dopo le atmasfere comedy del divertente Il missionario si torna al cinema di genere stavolta con digressioni nel gangster-movie e suggestioni noir, due generi che il cinema francese ha visitato spesso con ottimi risultati grazie ad un background filmico di notevole spessore.

Il regista ed attore Richard Berry si ispira ad alcuni fatti di cronaca e alla figura storica della malavita marsigliese Jacky Imbert, per imbastire un solido noir che pesca a piene mani da moltissimo cinema di genere e grazie all’interpretazione di un sempre piu credibile Jean Reno, in questo caso meno gigione del consueto e ad un casting di comprimari davvero azzeccato, confeziona una pellicola coinvolgente al punto giusto, ricca di atmosfera e rimandi a grandi classici, con la sola pecca di non mostrare, se non a sprazzi, un’identità abbastanza delineata.

Attenzione per chi fosse in cerca di adrenalina da action-movie, L’immortale non è un action a tutto tondo, se dovessimo fare un paragone, il film di Berry, fatte le dovute differenze, è paragonabile al recente Vendicami di Johnnie To e possiede molta dell’atmosfera crespuscolare dell’ottimo 36 Quai des Orfèvres di Olivier Marchal, quindi ci troviamo di fronate ad un crime a tutto tondo, con un’intrigante location eruopea che ricorda il Ronin di Frankenheimer, insomma efficace, a tratti coinvolgente, ma ben lontano dall’esser memorabile.