Il bambino che ha commosso il Festival di Cannes

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Per gli italiani che seguono la kermesse al via dal 16 maggio in Costa Azzurra, oggi a Cannes è il giorno di Valeria Golino e del suo “Miele“. Ma ad aver ‘scosso’ positivamente tutto il mondo è un bambino, protagonista di “Le passé”.

Cronaca di un successo annunciato. Ma anche cronaca di un feedback insperato. Che il regista iraniano Asghar Farhadi fosse capace di suscitare emozioni e produrre pellicole tali da restare impresse lo si era capito già in occasione de “La separazione”, film che ha ricevuto il Premio Oscar e l’Orso d’Oro a Berlino nel 2012.

Quest’anno, Farhadi si è presentato a Cannes con Bérenice Bejo (candidata all’Oscar per “The Artist”) e con una storia d’amore dalle mille sfumature. Tutto confluisce ne “Le passé“, pellicola ambientata nella periferia di Parigi che unisce sentimenti forti al tema dell’immigrazione.

A partire dal titolo, si capisce immediatamente che si tratta di un film importante. Il film rievoca il passato, inteso come uno spazio senza confini. Il passato viene visto come un contenitore ‘aperto’, entro il quale convergono emozioni, incontri, sensazioni, sguardi. Il passato, per Farhadi (e non solo per lui) è il rifugio dal quale ripartire per scrivere una nuova pagina. Tutti gli elementi citati, uniti alla potenza delle immagini e alla bravura di cast e direttore della fotografia, sono il lascia passare per una serie infinita di applausi scroscianti. Qualcosa ci dice che non sono solo applausi di rito e che il regista iraniano ‘rischia’ seriamente di ricoprire d’oro anche questo 2013.

Il debuttante

Se il film passerà alla storia, però, lo si dovrà in gran parte all’immenso talento di un bimbo. Si chiama Elyes Aguis e questo è il suo (impegnativo) debutto.

Uno dei maggiori punti di forza del film è rappresentato dal suo sguardo intenso, capace di interpretare il copione come se fosse un veterano della settima arte e non un bimbo alle prime esperienze.

Elyes Aguis è il parametro per misurare tutte le situazioni che accadono intorno a lui. Basta puntare la telecamera sul suo viso e il film aumenta d’intensità.

La vita di Elyes nel film è dura. Drammatica. Passa da una casa all’altra, senza un equilibrio, spesso in solitudine.

Elyes è stato abbandonato dalla mamma. La donna ha tentato più volte il suicidio. Suo padre ha una compagna, ma lo snobba. Esperienze dure da metabolizzare, che consegnano a Cannes, al regista e agli spettatori presenti e futuri de “Le passè” uno dei dialoghi più intensi della pellicola: “Mamma è morta”, dice in maniera secca al padre. “No, non è morta”, risponde imbarazzato il genitore. “Se stacchiamo le macchine a cui è attaccata muore?” – “Sì, ma non le stacchiamo perché non sappiamo se lei vuole continuare a vivere così o no” – “Ma lei voleva uccidersi, vuole morire”. Frasi piene di dolore, forse irrealizzabile per un bimbo, che sintetizzano il film. Frasi alle quali segue la prima, vera carezza per Elyes. E per tutti.