Femme fatale, recensione

Durante un’attesa premiere al Festival di Cannes, un regista e la sua protagonista sfilano sul red carpet accompagnati da una splendida modella di diamanti vestita. La fotografa Laure Ash (Rebecca Romijn), in realta bellissima ed abile ladra di gioielli riesce a sedurre la modella e a rubare il prezioso abito/gioiello.

I complici di Laure vengono fermati e lei mentre tenta la fuga ha la fortuna di potersi sostituire ad una sosia passata a miglior vita e di cui assumerà l’identità, cogliendo la chance fornita dal destino di iniziare una nuova vita.

Purtroppo sette anni più tardi, Laure ora conosciuta come Lily Watts la moglie dell’ambasciatore americano a Parigi, si troverà a confrontarsi con un passato che non l’ha dimenticata e che si materializzerà nei suoi ex-complici in cerca di vendetta e in un fascinoso fotografo spagnolo che paparazzando la donna ne scoprirà connotati sin troppo familiari.

Brian De Palma torna al thriller dopo la tappa mistico-fantascientifica a base di alieni new age del suo Mission to Mars e stavolta si lancia in un patinatissimo omaggio al cinema noir d’oltralpe con un prologo decisamente hot ambientato in uno dei templi della Settima arte, il prestigioso Festival di Cannes.

De Palma in Femme fatale sfrutta appieno la scultorea beltà dell’attrice e modella Rebecca Romjin, già splendida Mystica nella trilogia dgli X-Men e il fascino latino di Banderas ormai a tutti gli effetti star hollywoodiana dopo le avventurose prodezze nel blockbuster La maschera di Zorro e qualche passo falso da manuale come il pretenzioso The Body e il disastro da cinegame Ballistic.

De Palma conosce a fondo ritmi e stereotipi del thriller, ha una passione per Hitchcok e possiede una tecnica straordinaria, ma qui purtroppo al contrario del precedente Omicidio in diretta, in cui giocava con grande abilità con lo spettatore e il mezzo tecnico e con il suo istrionismo visivo anticipava concept visivi che renderanno famosi serial come 24, finisce per regalare al film una eccessiva patinatura che se in principio appare consona a lungo andare risulta fastidiosa e sin troppo compiaciuta.

Nonostante una regia di maniera l’intreccio pur vacillando in più di un’occasione giunge integro ai titoli di coda lasciando però ben poco, se non qualche sequenza virtuosistica, il fascino dei protagonisti e un overdose di glamour.

Note di produzione: il film di De Palma risultò ai bottegini un flop clamoroso, a fronte di un budget investito di 35 milioni di dollari, ne incassò in tutto il mondo poco più di sedici.