Romanzo criminale, recensione

In un incipit ambientato negli anni ’60 facciamo la conoscenza di quattro ragazzini romani in fuga da un posto di blocco della polizia dopo il furto di un’auto, la fuga dei quattro soprannominati il Libano (Pierfrancesco Favino), il Freddo (Kim Rossi Stuart), Il Dandi (Claudio Santamaria) e il Grana però durerà ben poco perchè verranno raggiunti dalla polizia e dei tre il Grana avrà la peggio perdendo la vita a causa delle ferite riportate durante la fuga.

Anni dopo di quel quartetto ritroviamo Libano, Freddo e Dandi che riunita la banda decidono di tentare il colpo grosso con un sequestro di persona, per l’occasione vengono reclutate altre vecchie conoscenze del quartiere e l’ambiguo sicario Nero (Riccardo Scamarcio) simpatizzante di gruppi di estrema destra ed esperto di armi.

Il sequestro su cui sta indagando il commissario Scialoja (Stefano Accorsi) nonostante la morte dell’ostaggio va a buon fine, ma una volta che la banda si riunisce per spartirsi i proventi, Libano propone di creare una cassa comune e darsi allo spaccio di droga su larga scala puntando a conquistare il mercato di stupefacenti e l’intera rete di spacciatori della città, in mano ad alcuni boss locali tra cui il Terribile (Massimo Popolizio) che fiutato l’andazzo proverà anche a farli arrestare.

Non tutti saranno della partita, ma i vecchi compagni di scorribande resteranno tali e comincerà così la scalata alla malavita romana della famigerata Banda della Magliana, che dopo aver eliminato la concorrenza stabilirà colegamenti con camorra e mafia diventandone i referenti per la Capitale, ma l’escalation della banda avrà un’ulteriore accelerazione con il supporto di alcuni elementi deviati dei servizi segreti, così anche lo scenario politico degli anni piombo vedrà protagonista l’ambiziosa banda di spietati criminali capitolini.

Michele Placido alla sua settima prova dietro la macchina da presa adatta per il grande schermo un romanzo di Giancarlo De Cataldo e proprio grazie alla solidità della controparte cartacea e ad un casting oculato, l’attore/regista confeziona un solido crime con suggestioni da poliziottesco, qualche intrigante deriva complottista e una schiettezza di fondo nell’approcciare il mondo della criminalità romana che gli permette di toccare punte di realismo davvero sorprendenti.

Il film funziona grazie al meccanismo vincente che miscela cronaca giudiziaria, ipotesi complottiste a leggende metropolitane, il rischio di enfatizzare sino a rendere quasi eroiche spietate e tragiche figure criminali viene abilmente schivato con l’inserimento di una sorta di Don Chisciotte strenuo difensore della legalità piuttosto credibile e che alla fine, nonostante anni di regno incontrastato all’insegna della malavita, riuscirà ad assistere all’auto-distruzione di esistenze borderline destinate sempre e comunque ad un’inevitabile implosione.

Romanzo crinimale segna il passo per un cinema italiano che sembrava ormai aver irrimediabilmente perso il contatto con le proprie radici rappresentate da un cinema di genere sempre più snobbato, un cinema che come ha dimostrato Placido ha ancora molto da raccontare, naturalmente solo se supportato da script che sappiano realmente parlare al grande pubblico.

Note di produzione: Michele Placido ha supervisionato anche la successiva serie tv in due stagioni, nel cast figurano anche Gianmarco Tognazzi, Elio Germano e Franco Interlenghi. Il film ha ricevuto 8 David di Donatello tra questi miglior sceneggiatura e miglior attore non protagonista (Favino) e 5 Nastri d’argento tra cui miglior film, miglior regia ed un ex-aequo per il miglior attore protagonista assegnato al terzetto Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino e Claudio Santamaria.