Fuga da Absolom, recensione

fuga-da-absolom2022, il marine J.T. Robbins (Ray Liotta) uccide a sangue freddo un suo superiore durante una parata, il gesto è una reazione ad un ordine datogli da quest’ultimo durante una missione, massacrare alcuni civili inermi, Robbins costretto ad ubbidire subisce uno shock e dopo l’omicidio finisce in uno dei più duri carceri di massima sicurezza, il famigerato Leviticus.

La dura disciplina del carcere e le vessazioni delle guardie nei confronti suoi e degli altri detenuti, creano non pochi problemi a Robbins che in svariate occasioni reagisce irritando il direttore del penitenziario che lo spedisce al confino, un’isola-carcere completamente isolata, senza guardie ne regole, e in cui vige la sola legge del più forte.

Due fazioni di detenuti dominano l’isola, i temibili cannibali che vivono nell’interno della giungla, capeggiati dal killer  psicopatico Marek (Stuart Wilson) e i più pacifici abitanti della comune creata dal Padre (Lance Henriksen), leader che professa la pace e l’espiazione. Comunque a Robbins interessano poco i due differenti modo di vivere, in realtà il suo obiettivo primario e fuggire dall’isola.

Il regista Martin Campbell (La maschera di Zorro, Agente 007-Casinò Royale), ha piu volte dichiarato la mediocrità di questo suo film non rendendosi pienamente conto del buon lavoro svolto con Fuga da Absolom e dell’intrigante script che strizza l’occhio a 1997-fuga da New York e scopiazza la chiave fantascientifico-dittatoriale del prison-movie 2013- la fortezza di Stuart Gordon.

Il film, anche grazie ad un volitivo e carismatico Ray Liotta al culmine della sua carriera, prende inaspettatamente una propria identità, nonostante le decine di omaggi e rimandi, e grazie ad un corposo cast di caratteristi, su tutti l’immarcescibile Lance Henriksen, diverte e coinvolge mantenendo sempre alte tensione ed attenzione, connubio vitale per ogni buon action.

Fuga da Absolom  funziona a dovere e miscela così tanti generi da diventare un gustoso frullato di B-movies d’annata, e disconoscimenti a parte, rimane uno dei migliori lavori del regista Martin campbell.