Recensione: The Mist

Bellissimo. Se iniziassi dicendo che The Mist è la trasposizione cinematografica di un racconto di Stephen King, precisamente appartenente alla raccolta Scheletri, metterei tutti in guardia.

Il motivo è presto detto: non sono poi così tante le versioni sulla celluloide, che siano riuscite a raggiungere anche lontanamente il trasporto creato dalla lettura attenta delle pagine stampate firmate dal grande maestro dell’horror.

The Mist si rivela un’eccezione. Ci troviamo di fronte a un horror di primissimo livello, che non deluderà nè gli appassionati di King, che, come me, hanno letto il racconto, nè coloro che si recano al cinema pregando e scongiurando nella speranza di non imbattersi in qualche ridicolaggine che ultimamente è di moda definire “film horror”.

L’angoscia monocromatica con cui The Mist ci fa scivolare nel cuore della vicenda è di rara efficacia. Tutto succede in un batter d’occhio, proprio come in un racconto, e lentamente ci si trova avvolti in una nebbia micidiale.

Da dove viene la misteriosa nebbia che avvolge in poco tempo Bridgton, una cittadina del Maine? Quale sarà il ruolo di Dave Drayton (Thomas Jane), e il destino della moglie e del figlioletto Billy? Se andate a vedere The Mist lo saprete, non mi sento in diritto di “spoilerare” sul primo, vero film horror che vedo dopo tanto tempo passato a sperare.

Qualcosa, però posso riportarla. La nebbia non è una nebbia alla The Fog, ma contiene qualcosa di molto più, per così dire, “corporeo”, anche se la sua mutevolezza lo rende sfuggevole alla comprensione, laddove già la vista ha perso tutte le sue funzionalità.

Un gruppo di persone assediate in un supermercato, circondate dall’ignoto, un ignoto minaccioso che non lascia scampo, che non lascia speranze. Se il “mostro” non fosse sufficiente, ecco risorgere lo spaventoso mostro che dormicchia sopito in ognuno di noi.

Le dinamiche del gruppo assediato sono studiate e mostrate in modo fine, il degenerare rappresenta uno spunto per scene crudeli, a tratti estremamente realistiche, mentre un pirotecnico delirio evoluzionistico esplode all’esterno, e rende preda il cacciatore.

Non ci sono limiti alle “dimensioni” che l’orrore può raggiungere; come se l’uomo diventasse mostro di fronte al mostro, grazie a un perverso effetto di risonanza. La situazione è avvincente perchè piena di bivi che devono essere affrontati in modo tempestivo.

Quale sarà l’effetto della mia prossima azione? Meglio uscire o rimanere all’interno? Lo spazio angusto del supermercato si estende attraverso le paure e le peculiarità dei personaggi, che in preda al terrore atavico di veder scomparire la propria specie, agiscono in modo impulsivo e determinato, con gli occhi sbarrati dalla disperata risolutezza degli atti.

Nessuno è protetto, tutti possono essere vittime sacrificali: vengono messi in discussione la fede e la religione, nella rivelazione di un egoismo mostruoso che a tratti ci farebbe spingere tra le fauci dei mostri; l’ignoto e l’invincibile sono infatti preferibili alla voracità ingorda e schietta delle nostre umanissime debolezze, contro le quali possiamo poco o niente.

Il regista, Frank Darabonte dopo i successi de Le ali della libertà (1994) e Il Miglio Verde (1999) segna un altro centro, riuscendo a creare una grande atmosfera, in cui imperversano creature dalla natura aggressiva e incomprensibile, che si azzannano tra di loro, in una pressione dell’acceleratore nella macchina dell’evoluzione, in modo tale da creare orrori sempre nuovi e spaventosi.

Gustosi i riferimenti a Lovecraft, in un turbinio di tentacoli dalle oscure origini, che si perde nella grandezza delle visioni di Dalì. Assolutamente imperdibile.