Lezioni d’amore: recensione

Il professor David Kepesh (Ben Kingsley) è sicuramente un donnaiolo impenitente, ma non come quegli imbarazzanti latin lover da strapazzo avanti con gli anni che cercano di fermare il tempo conquistando giovani studentesse, la sua è più una filosofia di vita, Kepesh usa il fascino ed il carisma della cultura e della maturità per affascinare le sue giovani allieve, e lo fa con un indubbio charme.

Per lui il corpo della donna è una vera opera d’arte da ammirare, da possedere, ma i suoi rapporti rimangono in superficie, Kepesh non si lascia mai andare a nulla più che una lunga serie di piacevoli rapporti fisici, questo fino a quando nella sua classe, come un fulmine a ciel sereno, piomba la donna che cambierà la sua vita ed il suo modo di concepire l’amore e le donne.

Lei è Consuela Castillo (Penelope Cruz) una stupenda studentessa dai capelli corvini e lo sguardo disarmante, non appena Kepesh vede la ragazza capisce che qualcosa è scattato in lui, con il passare del tempo avverte una metamorfosi impossibile da arginare, un cambiamento forte e definitivo che lo spaventa e che trasforma Consuela in qualcosa di più che un mero oggetto del desiderio, ma in un ossessione da cui e impossibile liberarsi. Così David arriva ad una sconvolgente verità, che a cinquant’anni suonati sta vivendo la sua prima, vera, storia d’amore…

La regista catalana Isabel Coixet in sintonia con il tema dell’amore al femminile, stavolta racconta di un amour fou, uno di quegli amori a termine, che con il coraggio dell’irrazionale cercano di superare i confini dell’età e della ragione, trent’anni separano gli amanti del film, entrambi i protagonisti credibili e bravissimi, ma il cuore del racconto, l’anima dei due personaggi, non emerge e rischia più volte di perdersi nella puntigliosità della messinscena fatta di troppi vezzi e troppa attenzione alla confezione.

II film perde così l’occasione di distinguersi dalla massa di prevedibili ed eleganti romance in cui tutto è visivamente coinvolgente ma decisamente poco memorabile e si finisce per confezionare un’elegante pellicola che non va oltre il godibile, un vero pecccato.