
Il cinema orientale ha nutrito negli ultimi anni la nostra fame di brividi, che il cinema americano con le sue ultime produzioni non riusciva a soddisfare pienamente. Tutta la sequela di nuovi autori orientali, in parte americanizzati quasi subito e riletti in decine di remake hanno fatto dell’horror orientale un vero e proprio caso cinematografico.
Prima di tutto stabiliamo alcuni punti fermi, l’horror orientale lavora sull’inconscio e sulle paure ataviche che ci portiamo dietro fin dall’infanzia, che lo stile usato sia coreano, cinese, giapponese o thailandese, comunque si limita il gore e si spinge l’acceleratore su una serie di input sensoriali e suggestioni che il regista sobilla negli spettatori utilizzando non l’effettaccio splatter classico od il sobbalzo dalla sedia tipico dei prodotti occidentali, ma inquietanti figure femminili dalle posture deformanti, effetti sonori ricercatissimi o ansiogeni silenzi, insomma inquietudini latenti che universalmente legano l’inconscio collettivo dell’uomo.
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