Sweet November: recensione

Nelson Moss (Keanu Reeves) è un pubblicitario in carriera, fidanzato e con un’idea tutta sua delle priorità  della vita, che a volte vive con estrema superficialità e frenesia anche un quotidiano che andrebbe vissuto con ritmi meno sotenuti e più riflessivi. Un bel giorno durante un esame per il rinnovo della patente Nelson incotra Sara (Charlize Theron), l’incontro è un pò movimentato, Sara viene cacciata dall’aula mentre tenta di suggerire le risposte a Nelson.

Sara pensa che Nelson viva in modo completamente sbagliato la propria vita, e che avrebbe bisogno di un periodo di riflessione, quindi dopo l’incontro tampina l’uomo chiedendogli dii passare l’intero mese di Novembre in casa sua per un soggiorno all’insegna della tranquillità e della ricerca interiore, Nelson spiazzato e anche un pò spaventato dall’insistenza della donna declina l’offerta.

Sarà la vita in modo del tutto imprevedibile a costringere Nelson ad accettare l’offerta, perso lavoro e fidanzata, approfitta della casa di Sara per sistemarsi in attesa di un nuovo lavoro, Sara inizia così la sua particolare terapia, l’affinità tra i due è palese e l’amore è dietro l’angolo.

Dopo i primi giorni d’idillio le prime avvisaglie di cambiamento da parte di Sara, qualche sbalzo d’umore, alcune piccole crisi di pianto, un atteggiamnto strano e poi la scoperta dei medicinali da parte di Nelson, poi il malore di leI dopo la proposta di matrimonio e la corsa in ospedale, qui un amico di Sara mette al corrente Nelson che lei ha un tumore incurabile.

Sara non vuole che nelson la vede lentamente divorata dalla malattia, lo allontana, ma lui ritorna insistente, vuole starle accanto, ma lei sa che non riuscirebbe a sopportare una relazione senza futuro, pur amandolo, una mattina si prepara a partire, lui dorme sembra il momento migliore per andare…

Sweet November affronta un tema difficile come la malattia ed il connumbio amore e morte, due temi che se non trattati adeguatamnte potrebbero rivelarsi un boomerang, qui il regista irlandese Pat O’Connor maneggia con estrema cautela, anche troppa, il tema, e nel cercare di affrontare con estrema delicatezza  lo spinoso tema conscio dei rischi impliciti  di manierismo si perde in una certa retorica che in più di un’occasione stride.

Bravi e belli i due protagonisti, molto intensa la Theron, leggermente in affanno Reeves, comunque alla fine dei giochi nobilitano un’operazione destinata a lasciare ben poca traccia di sè, un’operazione a cui manca sia una chiave di lettura forte capace di dare un’identità ad una storia troppo telefonata che una voglia di raccontare la malattia con il dovuto coraggio.