Scusa ma ti chiamo amore, recensione

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Alex (Raoul Bova) trentasette anni suonati, è stato appena piantato dalla sua convivente, una lettera con quattro righe, armadi e stampelle vuoti, e il silenzio di un appartamento desolato, così la depressione è dietro l’angolo e Alex si lascia un pò andare, nonostante gli amici cerchino di aiutarlo, e il lavoro lo impegni oltremodo.

Ci penserà il destino, o se preferite il caso, a fargli riscoprire la gioia di vivere con l’entusiasmo di Nikki (Michela Quattrociocche) una ragazza diciassettenne con un caratterino davvero niente male, che irromperà nella vita di Alex con tutta l’energia di un’adolescenza al suo culmine, ed una maturità e consapevolezza ancora tutta da assaporare.

Tra i due sembra nascere subito un’intesa che presto si trasformerà in amore, tra un combattuto Alex ansioso per quello che la gente penserà, ed una Nikki per nulla preoccupata che vuole vivere un sentimento con tutto l’entusiasmo e l’ingenuità della sua età, ma nonostante ragione e sentimento non siano mai andati d’accordo, l’amore vincerà comunque su tutto e tutti.

Lo scrittore Federico Moccia dopo aver adattato per lo schermo due suoi grandi successi editoriali Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di te, debutta dietro la macchina da presa con un terzo adattamento sempre di un suo romanzo, In Scusa ma ti chiamo amore ancora l’adolescenza al centro della storia, stavolta contrapposta ad un sentimento che sconfina nel mondo degli adulti con tutte le sue conseguenze.

Bisogna dire che se visivamente il film di Moccia risulta dignitoso, paradossalmente l’utilizzo delle numerose citazioni letterarie in sovrimpressione e la voce fuoricampo di Luca Ward non disturbano la narrazione, c’è sempre il grosso ostacolo di questi adolescenti monocorde davvero irritanti ed edulcorati, che il Moccia scrittore ama descrivere.

Questo club di Winx che imperversa per tutto il film, la sciolta, la santa, la fidanzata e la sognatrice, parlano in un presunto linguaggio giovanilistico che sembra figlio di un vocabolario mix di arcaico anni’70, modaiolo slang anni’80 e qualche termine coniato di fresco, frullatone lessicale che lascia decisamente perplessi proprio perchè millanta un realismo davvero poco credibile.

L’unico che realmente trasmette qualcosa in questo romance per adolescenti è il bravo Raoul Bova che però, nonostante i lodevoli sforzi, in alcune sequenze non può non lasciar trapelare un atteggiamento quasi paterno verso la sua partner, che oltre all’indubbia avvenenza, manca della spontaneità necessaria a sopperire alla palese inesperienza attoriale.

Il film di Moccia pecca nella parte più importante dell’intera operazione, la credibilità della storia d’amore dei due protagonisti, la Quattrociocche sorride, ammicca e tra un che ficata! e l’altro sciorina una serie di luoghi comuni sugli adolescenti davvero insostenibili, mentre Bova si comporta più che dignitosamente riuscendo a risollevare il film da un’imbarazzante catatonia emotiva con la parte adulta della storia, che tra una muccinata e l’altra riesce comunque a far arrivare desti sino ai titoli di coda.

Inutile ed ingenuo il tentativo di trasformare, come una sorta di cenerentola, la bella protagonista nel finale, con acconciatura e trucco ad hoc che dovrebbero trasmettere allo spettatore una raggiunta maturità della ragazza onde giustificare un rapporto futuro tra i due protagonisti, e che invece involontariamente palesa ancor di più la mancanza di un qualsivolglia credibilità della messinscena. Decisamente sconsigliato agli over 20, poi fate vobis.