Rocky 5, recensione

Rocky (Sylvester Stallone) torna dalla Russia dopo aver messo al tappeto il colosso sovietico Ivan Drago, diventando di fatto un eroe anche oltreconfine, ma l’età e i troppi colpi presi hanno lasciato un segno indelebile nello stanco ed invecchiato campione che comincia a pensare seriamente di abbandonare il ring.

Purtroppo il suo ritorno da campione sarà funestato dalla notizia che l’improvvido  cognato Paulie (Burt Young) ha lasciato in mano tutto il patrimonio dei Balboa ad un personaggio senza scrupoli, che ha messo Rocky e famiglia praticamente sul lastrico, urge quindi un incontro per sanare l’ammanco e naturalmente la proposta arriva repentina.

L’ambiguo promoter George Wahington Duke (Richard Gant), nonostante conosca le precarie condizioni di salute di Rocky spinge per farlo incontrare sul ring con il suo pupillo Union Cane (Michael Williams), la borsa è davvero ghiotta e risolverebbe in un sol colpo tutti i problemi, ma Adriana (Talia Shire) non ha alcuna intenzione di vedere il marito finire come l’amico Apollo (Carl Weathers).

Rocky invece stringe la cinghia e passa oltre, nessun incontro, si torna alla vecchia vita nel vecchio quartiere che l’ha visto nascere, i giorni tornano a scorrere tranquilli, almeno sino a quando Tommy Gunn (Tommy Morrison) un giovane pugile in cerca di fama e soldi non convince Rocky ad allenarlo.

Per Rocky tornare sul ring, anche se solo da allenatore, è fonte di un ritrovato entusiasmo, ma l’arrivo dell’ambizioso Gunn nella vita dei Balboa creerà non pochi contrasti, vedi il figlio di Rocky che si sentirà trascurato, la preoccupazione della moglie Adriana su una delusione del marito e con lo stesso Gunn, che alla prima occasione seguirà l’odore dei soldi tradendo senza pietà il suo mentore.

Stallone cerca di cambiare volto al suo amatissimo pugile provando a descriverne il declino fisico e le dinamiche familiari dopo una repentina bancarotta, ma il ritorno di John G. Avildsen, regista del folgorante esordio dello Stallone italiano non basta a dare nerbo ad un film che arranca e in qualche modo cerca di distruggere e rendere sin troppo umano un campione ormai idealizzato dagli spettatori.

Stallone in principio, nella prima stesura dello script, voleva addirittura che Rocky morisse, dopo le naturali resistenze della produzione si è optato per un’uscita di scena secondo noi troppo costruita, il film è senza dubbio solido a livello di regia, ma lo script non tiene conto del precedente episodio, un incontro epocale dimenticato in men che non si dica per tornare ad un primo film impossibile da replicare neanche per suggestioni.

Rocky è ormai un vincente assoluto, quasi una bandiera, avremmo preferito vederlo chiudere la carriera con il dignitoso ed ipertrofico quarto capitolo che seguirne il declino e l’epilogo in una triste scazzottata da saloon in un vicolo, infatti il sesto capitolo che arriverà a ben sedici anni da questo Rocky 5, avrà la giusta miscela di nostalgia ed esperienza per regalarci uno struggente e degno commiato, in cui non mancherà un elemento indispensabile per la saga, un finale con tanto di ring e folla esultante dove il vecchio gladiatore potrà battersi fino all’ultimo round.

Note di produzione: il ragazzo che interpreta il giovane Balboa Jr. è il vero figlio di Stallone, ai botteghini questo quinto capitolo con 119 milioni di incasso deluse di molto le aspettative a fronte di un budget di 50 milioni di dollari, risultato che decretò la chiusura ufficiale della saga, che avrà comunque un ulteriore capitolo diciotto anni dopo con Rocky Balboa.