Recensione: Uno in più

Uno in più, quinto cortometraggio di Alberto Gambato, tratto da un soggetto scritto a quattro mani con Paolo Rossi, narra la storia di due personaggi “in gabbia”, i quali, un evento non previsto, la non-presenza, il non-arrivo, il non-accadere di qualcosa, allontana ma non divide la coppia, perché chiusi in se stessi, rinchiusi e costretti loro malgrado a dividere il medesimo spazio.

L’unico tentativo di riavvicinamento è affidato ad uno scritto mai terminato, mai spedito e che rimane dentro il proprio essere, laddove forse, troverà comprensione ed ascolto. Laddove permane l’illusione che uno in più sia sempre troppo. O troppo poco.

In questo film il regista sottolinea molto bene la mancanza di comunicazione nella coppia protagonista, con bellissimi dettagli e un esperto uso dei rumori come il ticchettio dell’orologio, che in sottofondo accompagna la pellicola per tutta la sua durata. Ad un certo punto la scena cambia e ci ritroviamo in una clinica dove la protagonista accompagnata dal marito, sta per compiere il duro passo verso l’aborto, la separazione da una parte di se, e forse anche la separazione per sempre da quel compagno che non la sa ascoltare.

Alberto Gambato, nato a Rovigo 30 anni fa, nel 2001 firma con Barbara Marangon, Luce fioca, prima parte di una trilogia sui riti di passaggio nella vita umana. Dal Dicembre 2003 collabora con il Teatro del Lemming di Rovigo, alla realizzazione della parte video del 3° segmento del Progetto Inferno (le Malebolge).
Vince nell’Aprile 2005 la “Sezione Laboratorio” ed il Premio per la miglior interpretazione e le migliori riprese al Valsusa Filmfest 2005 del cortometraggio Dopo chi.