Recensione: Qualcuno con cui correre

Gerusalemme, Asaf sedicenne timido e un pò goffo, accetta di ritrovare la proprietaria di un Labrador di nome Dinka. Sarà lo stesso cane ad aiutarlo a trovare Tamar la sua giovane padrona, anch’essa impegnata nella ricerca del fratello tossicodipendente, scomparso a causa di una banda di criminali che usa giovani artisti di strada come copertura per lo spaccio di droga.

Qualcuno con cui correre (Mishehu Larutz Ito) è stato  presentato in anteprima qui in Italia al Giffoni Film Festival, quale luogo più consono per un film che parla di ragazzi e di speranza, si perchè in questo piccolo grande film è contenuto un grande messaggio che ci invita, mondo che ci circonda a parte, a guardare con gli occhi speranzosi della odierna gioventù, che scalcia e spintona per cercare nell’amore e nell’amicizia una via d’uscita alla desolazione che purtroppo li opprime.

Oded Davidoff, qui al suo secondo lungometraggio, anche questo secondo film è basato su un romanzo stavolta dello scrittore David Grossman, è quello che si dice un cineasta d’altri tempi perfettamente a proprio agio con l’odierno mezzo cinematografico, l’uso di alcune escamotage narrativi come il racconto parallelo, la tecnica del docu-fiction, l’uso di attori semi professionisti, e il narrare la strada, la città, la vita di tutti i giorni non ci può non far pensare al neorealismo italiano attualizzato in maniera convincente anche grazie ad una freschezza visiva che sorprende non poco.

Alcuni critici hanno visto in questo film rimandi a classici come 0liver Twist, ma noi vorremmo saltare il lato citazionista, per soffermarci su uno stile che attraverso l’uso della realtà come filtro, e non viceversa, ci trasmette, nonostante le disavventure dei personaggi e il degrado che traspare dalla storia, un senso di profonda ammirazione e comprensione per i protagonisti in balia di tragedie come la droga e la criminalità, il tutto affrontato con una forza d’animo che entusiasma e commuove.

Una sceneggiatura che parla con sguardi e immagini, e quando deve tratteggiare i caratteri non si spinge mai oltre, anche il perfido Pesach (Tzahi Grad), boss dello spaccio e “Cerbero” dei giovani artisti nemmeno rasenta la caricatura, tutti sembrano parte del  narrare,  tasselli indispensabili della storia, guerra e terrorismo rimangono ai margini mentre un’inedita Gerusalemme si scopre città viva e vitale e non solo titolo da tg.

Davidoff è figlio di un cinema, quello odierno, frenetico e iperrealistico, quindi lo utilizza, ma senza esagerare, imbrigliandolo e somministrandolo allo spettatore a piccole dosi, macchina da presa sempre in movimento, niente fronzoli stilistici, corre con i protagonisti attraverso le strade della città,  cattura sguardi ed emozioni, senza invasioni di campo, la macchina da presa, mai protagonista, solo partecipe testimone.

Un plauso a tutto il cast, su tutti alla intensa e sorprendente Bar Belfer che interpreta la minuta e risoluta Tamar, sguardo che colpisce e recitazione minimalista che già ne fanno una piccola diva.

Questo nuovo cinema israeliano, come avrete intuito ci piace, perchè parla ai giovani, perchè carico di suggestioni letterarie e cinematografiche, ma ben radicato nel quotidiano. Aspettiamo fiduciosi il prossimo lavoro di questo regista, sperando che non perda la sensibilità e la freschezza visiva che ha dimostrato con questo bel film.