Recensione: Ponyo sulla scogliera sul mare

Ponyo, la paffuta, dolcissima e coraggiosa ultima creazione del maestro giapponese Hayao Miyazaki incanta la quinta giornata di programmazione alla Biennale di Venezia, strappa applausi e ovazioni, regala sogni e speranza in un Festival dominato dal dolore, depressione, violenza e devastazione interiore.
Già grande successo in Giappone, uscito il 19 luglio ha incassato finora 120 milioni di dollari, Ponyo on the cliff by the sea, in concorso, è una favola colorata e tenera destinata soprattutto al pubblico dei bambini, dove il regista mescola La sirenetta e La cavalcata delle Valkirie, temi caldi al disneyano Nemo e allusioni alla cronaca, tsunami e difesa dell’ambiente.
Una cittadina in riva al mare. Sosuke è un bambino di cinque anni che vive in cima a una scogliera affacciata sul mare. Un giorno, mentre sta giocando sulla spiaggia rocciosa sottostante, si accorge di una pesciolina rossa di nome Ponyo con la testa incastrata in un vasetto di marmellata; Sosuke la salva e la ripone in un secchio di plastica verde.


Ponyo e Sosuke sono attratti l’uno dall’altra. Lui le dice: “non ti preoccupare, ti proteggerò io e mi prenderò cura di te”. Ponyo però è costretta dal padre Fujimoto, un tempo uomo, ora invece stregone che abita le profondità del mare, a tornare nuovamente con lui negli abissi dell’oceano. “Voglio essere umana!” protesta Ponyo che, determinata a voler diventare una bambina e a ritornare da Sosuke, scappa.
Prima, però, versa nell’oceano l’Acqua della Vita, la preziosa riserva di elisir magico di Fujimoto. Il livello delle acque del mare si innalza e le sorelle di Ponyo si ritrovano trasformate in gigantesche onde di marea pesciformi, tanto alte da raggiungere la casa di Sosuke sulla scogliera.
Il film riesce a catturare gli spettatori grazie all’inizialmente onnipresente sensazione del fantastico che riesce ad evocare: per i primi minuti si rimarrà incollati a contemplare le meraviglie che accadono nel mare e a conoscere quello strano essere che è Ponyo, le sue curiose reazioni al mondo umano e ai primi approcci agli abitanti della terraferma.
Per la bellezza di colori, fantasia di storia, meraviglia di fondali, gusto ormai retrò per il disegno a mano con una tecnologia presente ma non protagonista, profondità dei personaggi, è un capolavoro assoluto. La matita di Miyasazaki ha una freschezza impareggiabile e i suoi protagonisti non diventano mai melensi, così come gli “elementi” che gli si contrappongono, oceani, scogliere, villaggi, non scimmiottano la natura bensì la reinterpretano.
Che dire poi della colonna sonora; Ponyo, Ponyo, cantata alla Cristina d’Avena come le siglette tv dei cartoni animati, è diventato il tormentone del Festival. Il motivetto è sulla bocca di tutti, in attesa di ripescare nella memoria lo Yuppi Du di Adriano Celentano.
A 67 anni Miyazaki ha vinto tutto il vincibile, compresi l’Oscar e l’Orso d’oro di Berlino per La città incantata e il Leone d’oro alla carriera nel 2005. Tutto questo è sinonimo di garanzia; ma per incontrare la pesciolina rossa Ponyo, il grande pubblico dovrà attendere la prossima primavera.