Recensione: Big fish, le storie di una vita incredibile

Edward Bloom è un fantastico narratore di storie, ha una peculiarità, racconta di personaggi e incontri fiabeschi che lo riguardano personalmente, e diventa famoso per la sua eccentrica abitudine di raccontare di suoi improbabili incontri con lupi mannari, streghe e pesci giganti.

Purtroppo la voglia di sognare e fantasticare che Edward trasmette al prossimo ne fa oggetto, in alcuni casi di scherno, situazione che allontana il figlio William, stanco della invadente e imbarazzante fantasia paterna, ma la morte del genitore farà tornare il figliol prodigo a casa, e finalmente potrà, senza pregiudizi, esplorare e stupirsi di fronte al fantastico mondo costruito negli anni dal tanto criticato padre.

Tim Burton è uno di quei registi che vive in un mondo proprio, creato nell’infanzia e coltivato con amore e dedizione trasformandolo in suoni ed immagini che il cinema, da potente catalizzatore di fantasia qual’è, ha saputo trasmettere al pubblico ricordandoci che sognare è parte importante della vita quotidiana.

Già Steven Spielberg con Hook ci avvertiva che perdere la fanciullezza era pericoloso per la propria esistenza di adulti, e Burton con Big fish fa lo stesso, lui è Edward Bloom e il pubblico è il disilluso figlio William, Burton ci invita nel suo mondo, ci chiede di spegnere per qualche minuto  la parte più attaccata al quotidiano che il nostro cervello predilige, e che soffoca la parte più fanciullesca e sognatrice, per accompagnarci nel mondo di un sognatore che ha fatto della fantasia materia prima per la propria vita, senza mai pentirsene.

Ewan McGregor, il giovane Edward, e Albert Finney , l’Edward maturo, sono magnifici nell’incarnare la vita di questo strambo commesso viaggiatore, mai sazio di sogni, Jessica lange è l’innamorata e comprensiva moglie, mentre nella parte del figlio William Billy Cudrup, già apprezzato in The good shepherd: l’ombra del potere.

Big fish permette a Burton di scatenare la propria fantasia e caratterizzare una colorata e suggestivamente bizzarra galleria di personaggi strambi e fiabeschi, dando sfogo pienamente, forse per la prima volta, alla sua sfrenata fantasia, in una cavalcata a briglia sciolta nell’immaginifico mondo creato dallo scrittore Daniel Wallace.

Questo film si trasforma in un omaggio/messaggio ai propri genitori, a cui il regista non era mai stato particolarmente legato, ma la cui morte, avvenuta poco prima delle riprese, influenzò non poco il prodotto finale, influenza che Burton non ha mai smentito.

Una favola natalizia alternativa e al contempo classica, una raccomandazione, per la visione è consigliato lasciar uscire il bambino sopito che è in tutti noi  e che i problemi quotidiani inibiscono, ma che fortunatamente il Natale è capace di risvegliare, anche se solo per pochi giorni l’anno.