C’eravamo tanto amati, recensione

Tre amici, fratelli d’armi con i partigiani italiani durante la guerra di liberazione, al termine del conflitto si dividono intraprendendo ognuno il proprio percorso di vita personale e professionale, Antonio (Nino Manfredi) torna al suo lavoro di portantino in un ospedale romano, Gianni (Vittorio Gassman) riprende gli studi per diventare avvocato in quel di Pavia e Nicola (Stefano Satta Flores) torna in Campania dove riprende il suo ruolo d’insegnante. Dei tre Gianni è quello più egocentrico, ambizioso e poco leale, la sua natura ambigua si paleserà grazie a diversi eventi che lo vedranno ritrovare per caso l’amico Antonio per tradirne la fiducia di li a breve, portandogli via la sua fidanzata (Stefania Sandrelli) aspirante attrice, ma Gianni è un’arrampicatore sociale nato e mollata l’ex-fidanzata dell’amico diventerà avvocato del losco palazzinaro, intrallazzatore ed ex-fascista Romolo Catenacci (Aldo Fabrizi) di cui, da cacciatore di dote senza scrupoli, circuirà anche la figlia Elide (Giovanna Ralli).

Nel frattempo, mentre il panorama politico italiano comincia la sua metamorfosi che porterà alla fase filo-democristiana, Antonio per le sue idee politiche subisce l’ostracismo dei suoi colleghi di lavoro e Nicola, incapace da par suo di confrontarsi con una società in cui non si riconosce più, si rifugia in un nostalgico amarcord fatto di sterile polemica politica e nostalgia che lo allontanerà di fatto dalla vita reale. Non passerà molto tempo prima che la vita metta i tre ex-partigiani di nuovo di fronte, per un ultimo confronto che avrà ancora una volta il sapore amaro di una, sino ad allora ignorata consapevolezza.

Uno dei classici del cinema italiano firmato da Ettore Scola che viaggia atraverso trent’anni di storia e vita italiana fatta di trasformismi, ideali appannati e rivoluzioni mancate attraverso gli occhi di tre personaggi che rappresentano altrettante caraterizzazioni che vanno dall’idealista ad oltranza al trasformista per eccellenza, quest’ultimo interpretato da un Gassman memorabile nel delineare l’ambiguità e il pressapochismo morale di un italiano la cui coscienza e i cui valori sono facilmente plasmabili dai bisogni materiali.

C’eravamo tanto amati è un film che ancora oggi mantiene intonsa la sua forza regalando malinconiche reminiscenze di un Italia che fu, ma anche interpretazioni di livello e una regia che si rivolge ad un platea vasta e variegata con i crismi del cinema d’autore, ma il cuore fieramente nazional-popolare di un cinema fatto per la gente.

Note di produzione: nel film, che fu insignito di svariati riconoscimenti internazionali tra cui un César 1977 al Miglior film straniero, appaiono nel ruolo di se stessi anche Mike Bongiorno in una puntata simulata di Lascia o Raddoppia? e Federico Fellini, Marcello Mastroianni ed Anita Ekberg intenti a fare la storia del cinema con le riprese del cult La dolce vita. Scola dedicò il film a Vittoria De Sica maestro del del filone neorealista scomparso durante la fase di montaggio della pellicola, in cui ricordiamo IL veterano Aldo Fabrizi farà una delle sue ultime apparizioni.