Ben Carson: lo sguardo da dietro lo specchio

A volte ci si ritrova ad essere spiazzati dalla nostra stessa immagine, quando ci guarda, inacciosa, dallo specchio. Forse proprio perchè si ha l’impressione che oltre alla nostra immagine possa riflettere anche la nostra rabbia, le nostre paure, i nostri sbagli.

Ben Carson non ha mai smesso di avere paura, neanche quando l’alcol lo riempiva fino agli occhi; si tratta del tipo di paura che ha la persistenza e l’intonazione dell’eco del Big Bang, una paura che in molte persone non viene mai risvegliata, ma che schizza fuori come da un’arteria recisa, magari grazie a un colpo di pistola, magari se siamo noi a infliggerlo e non a riceverlo.

La paura di diventare ciò che non si crede di essere ci rende cinici, e frustra le nostre speranze. Non ci sono parole per raccontare cosa c’è oltre lo specchio; Alice ce lo racconta in un modo tutto suo, a si tratta di un passaggio tutt’altro che fiabesco.

Ci si chiede se realmente uno specchio possa riuscire a catturare qualcosa di quello che succede intorno a noi. Del resto anche noi “riflettiamo” i comportamenti dell’altro, il mondo esterno, rispondendo a tutto quello che ci succede; nel frattempo, però, interiorizziamo e elaboriamo, e questo raramente è manifesto.

Uno specchio che cattura, uno specchio che ti fa venire voglia di abbassare l’ansia buttandotici dentro. La psicosi di Ben va ben oltre la paranoia: lo specchio cerca di distruggere la sua famiglia, sfogandosi per responsabilità che non sono sue.

Ormai l’età non è più quella di quando sembrava di poter correre su una superficie di vetro messa in verticale, e raggiungere la cima senza mai scivolare, senza mai perdere il ritmo, senza mai perdere il sorriso e la forza di andare avanti. Più in alto si va, più male ci si fa quando si cade, ma anche quando non si è arrivati così in alto il dolore può essere estremo.

I tempi sono cambiati, gli errori sono stati commessi, ed è giunto quindi il momento di lottare come animali per la sopravvivenza, di sporcarsi e di ferirsi, di combattere con le armi ma anche con le mani, fino a che uno dei due non crolla, morto.

E’ quello il momento in cui si comprende il senso deterministico della propria vita. Il momento in cui anche il più piccolo sbaglio comincia ad avere un senso, il momento in cui tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto e in un attimo si accende il riflettore sul senso della vita scarabocchiato sul muro di un hotel semi distrutto dalle fiamme.

Se tutto questo poi comporta un sacrificio, tanto meglio: il cerchio si chiude, e si tratta di una storia con finale, senza dubbio lieto, in virtù della sua stessa natura conclusiva. Lo specchio di marmo su cui si sbatte dolorosamente da tempo va improvvisamente in frantumi.

I vetri penetrano nella nostra carne, negli occhi, nella bocca, fin dentro i pensieri, e il sangue, copioso, che scorre, va a lubrificare il meccanismo che protegge i nostri cari, delusi, lontani, ex membri di un nucleo familiare in frantumato e non più riparabile.