Le ali della libertà, recensione

shawshank_redemption_ver2 []Andy Dufresne (Tim robbins) accusato di aver ucciso sua moglie e l’amante di quest’ultima, viene condannato a due ergastoli che dovrà scontare nel penitenziario di Shawshank, qui farà la conoscenza del dispotico direttore e di un manipolo di guardie carcerarie capitanate dal capitano Hadley (Clancy Brown).

Dufresne è un semplice impiegato di banca abile con i numeri e l’approccio con il carcere sarà più violento e duro del previsto, con vessazioni e violenze fisiche che porteranno l’uomo a subire anche abusi sessuali da parte di un gruppetto di detenuti dediti allo stupro.

Dufresne comincerà col tempo ad isolarsi, collezionando minerali e passando il tempo scolpendo alcuni pezzi per una scacchiera, poi il direttore e le guardie si accorgeranno della sua abilità con i numeri e Dufresne, che nel frattempo ha conosciuto alcuni detenuti tra cui il veterano Red (Morgan Freeman), che è prossimo al rilascio dopo quasi mezzo secolo di detenzione, gli affideranno alcune pratiche burocratiche da sbrigare.

Purtroppo questa sua abilità costerà al detenuto un rinvio forzoso della sua libertà vigilata, ma figlierà anche un piano geniale che verrà messo in atto nel sorprendente e inaspettato finale.

Il regista Frank Darabont, grande estimatore di Stephen King, suoi i successivi Il miglio verde e The Mist, si confronta con il King fine narratore di uomini ed emozioni lontano dal suo genere prediletto, dopo il nostalgico e coinvolgente Stand by me portato sullo schermo nel 1986 da Rob Reiner.

Il film è un commovente e coinvolgente prison-movie che punta su un cast di notevole livello, Robbins e Freeman sono grandiosi, comprimari di lusso e una narrazione fluida e senza fronzoli che riesce a catturare lo spettatore per tutta l’ampia durata della pellicola non lasciando spazio a cedimenti, puntando su temi forti come l’amicizia virile e il  riscatto verso un sistema giudiziario dispotico e fallace.

Le ali ella libertà è un cult a tutti gli effetti, oltre ad essere uno dei migliori racconti di King, rappresenta uno dei rari casi in cui la trasposizione su grande schermo non intacca il cuore del romanzo originale.