La ragazza del lago, recensione

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In una tranquilla e sonnolenta cittadina una bambina rinviene per caso, sulle rive di un lago il corpo di una ragazza. Ad indagare viene chiamato il commissario Sanzio (Toni Servillo), l’omicidio sembra non sconvolgere molto la vita ovattata degli abitanti del paese e presto le indagini e gli indizi porteranno al fermo di un giovane che frequentava la ragazza, ulteriori prove rinvenute in seguito sembrano inchiodarlo.

Nonostante il caso sembri avviarsi verso una veloce risoluzione, dopo l’arresto alcune verità verranno a galla e il quadro generale non sembrerà più cosi chiaro, Sanzio ricostruirà avvenimenti e situazioni che come frammmenti di un rompicapo lo porteranno ad una inaspettata soluzione.

In un periodo in cui il cinema sembra troppo urlato La ragazza del lago fa capolino ricordandoci che ogni tanto una storia quasi bisbigliata può lasciare attoniti per la sua forza comunicatrice.

I film di genere sono ormai una rarità nel panorama cinematografico italiano. Negli anni ’70 i nostri gialli erano considerati veri e propri prodotti da esportazione, così come i polizieschi e il regista Andrea Molaioli, torna proprio al cinema di genere ormai latitante da decenni, scegliendo il giallo nella sua veste più classica, ma non il thriller che ha altre connotazioni, spogliandolo di tutti quei fronzoli che oggi snaturano molti soggetti cinematografici e non lo fa solo a livello di scrittura, ma  intervenendo anche sul montaggio e sui movimenti della macchina da presa.

Tutto è al servizio della storia, niente virtuosismi che avrebbero appesantito inutilmente l’anima intimista e minimalista del libro da cui è tratto il film. Servillo punta su una recitazione essenziale, incentrata su piccoli gesti, silenzi e dove serve vigorose intemperanze regalandoci così il ritratto di un uomo stanco, ma mai in completa balia degli eventi che lo circondano, che raccoglie pazientemente piccoli frammenti di un puzzle di cui cerca il senso, mentre la malattia divora la memoria della moglie.

Tessere le lodi del cast o di alcuni attori sarebbe un errore, lo sforzo di ogni singolo è indirizzato al quadro d’insieme, nessuna figura ne emerge, ma per propria volontà non certo per mancanza di bravura a testimonianza del concetto di gioco di squadra che si percepisce da questa pellicola.

La macchina da presa ci immerge in questa sonnolenta realtà, i suoni della natura si dividono la scena con l’ottima e mai fuori luogo colonna sonora. L’obiettivo indugia su scorci paesaggistici che ci incantano anche quando la superficie di questa apparente tranquillità vien increspata dal macabro ritrovamento.

Molaioli ci accompagna tra personaggi e dialoghi cogliendo pause e sguardi, mai invadente, come un osservatore timido, ma attento e noi spettatori veniamo rapiti da questa storia dai toni rarefatti, la cui natura di romanzo giallo diventa una scusa per raccontare luoghi e personaggi che ci appaiono così vicini e per una volta tangibili nella loro umanità.

Unica pecca, se così la possiamo chiamare, è che forse in un’epoca dominata dai mass-media come in quella in cui viviamo, un delitto come quello del film avrebbe attirato la morbosa attenzione di stampa e televisione trasformando il luogo in un circo mediatico, ma ciò non toglie nulla alla genuinità di un’opera assolutamente da riscoprire.

Note di produzione: Toni Servillo miglior attore alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007, e il film vince anche 3 Nastri D’argento e ben 10 David di Donatello tra cui miglior film, miglior regista e miglior attore (Toni Servilllo).