Holy Motors, recensione in anteprima

Monsieur Oscar (Denis Lavant) si appresta a cominciare una delle sue consuete giornate di lavoro. Salito a bordo della sua limousine bianca l’uomo, all’apparenza un esperto di finanza, svela un armamentario che sembra uscito dal camerino di un teatro, una vera attrezzeria si cela all’interno dell’automobile con tutto il necessario, dai costumi al trucco sino alle parrucche, per trasformarlo di volta in volta, permettendogli di passare da un personaggio all’altro e da una vita ad un’altra.

Il camaleontico e un po’ tristo Monsieur Carax lungo un percorso a tappe suddiviso in appuntamenti si trasformerà/interpreterà una vecchia mendicante, un attore/atleta specializzato in motion capture, un deforme rapitore di modelle, un killer, un anziano uomo in punto di morte, un padre di famiglia…

Leos Carax non è certo un regista che lavora pensando ad un potenziale pubblico, questo è palese, il suo è un immaginifico che vive di suggestioni ed ossessioni, un barlume di genialità che sprigiona una primigenia passione per il cinema nella sua forma più pura, artistoide e caotica.

Holy Motors farà la felicità dei cinefili più oltranzisti, alla ricerca di criptici segni premonitori di un risveglio artistico da parte di platee obnubilate dal cinema mainstream, provocherà e creerà dissenso in quelli che pretendono che il cinema sia invece codificato, incasellato e ben riconoscibile e senza dubbio avrà ben poco senso per chi il cinema lo pratica saltuariamente come mera forma di distrazione.

Gridare al capolavoro sarebbe la cosa più semplice di questo mondo, scegliere tra fischi o applausi ancor più invitante, noi preferiamo porci a mezzavia come degli agnostici in cerca di una prova tangibile che quello a cui abbiamo assistito sia veramente ciò che sembra.

Ci troviamo quindi di fronte ad una forma di espressione estrema, provocatoria e dotata di una straordinaria poetica di fondo che sfida ad acuire la percezione oppure Carax, con il suo protagonista mutante, le sue molteplici micro-storie e una tecnica sopraffina si è divertito a sparigliare le carte, allestendo un rutilante spettacolo all’insegna del nonsense capace di generare artifizi tali da ingenerare in più di qualcuno un’euforia pseudo-intellettualoide?

Quel che è certo è che Holy Motors è ciò che si avvicina di più ad una forma di espressione artistica nel senso più percettivo del termine, che piaccia o lo si detesti, che lo si comprenda o meno sino in fondo o si giochi per forza di cose alla citazione cinefila (King Vidor, Jacques Demy e via discorrendo), se vogliamo dirla tutta anche questo un modo per banalizzarne i contenuti, il film di Carax lascia il segno tangibile di un intento che è a milioni di anni luce dall’intrattenimento nella sua forma più riconoscibile.

In conclusione anche se si scorge in alcune sequenze un certo ostentato compiacimento dissacratorio, l’eccentrica visione di Carax tutta puntata ad un cinema altro, potrebbe riservare a chi si volesse cimentare con la pellicola degli inattesi effetti collaterali, la cui entità lasciamo a voi quantificare.

Note di produzione: nel cast figurano anche Eva Mendes, Michel Piccoli e Kylie Minogue; la scena d’apertura è stato ispirata da un racconto dello scrittore E.T.A. Hoffmann, su un uomo che scopre una porta segreta nella sua camera da letto che conduce ad un teatro dell’opera.