Erin Brockovich-Forte come la verità, recensione

Erin Brockovich (Julia Roberts) è una donna dal carattere determinato, con due divorzi alle spalle che le hanno indurito la scorza e lasciato brutti ricordi, qualche rimpianto, ma anche due splendidi figli da amare.

Purtroppo per Erin il quotidiano è duro da affrontare, madre single con due figli e il lunario da sbarcare a cui si aggiunge una fisicità sin troppo esuberante, che a volte le crea più di qualche problema in ambito lavorativo oltre naturalmente al suo carattere indipendente per nulla portato a piegarsi a compromessi di qualsiasi genere.

Questo suo caratterino comunque le sarà utile quando praticamente costringerà l’avvocato Edward L. Mastry (Albert Finney) ad assumerla nel suo studio legale come assistente, una sorta di forma risarcitoria per averle fatto perdere una causa per lesioni personali contro il suo medico.

L’eccentrica Erin non partità certo con il piede giusto, priva di qualsiasi referenza e con mise spregiudicate si inimicherà da subito tutte le nuove colleghe, e manderà ai matti il povero Mastry con il suo pessimo carattere, una confidenza non richiesta e una certa invadenza, questi difetti però permetteranno ad Erin di portare all’attenzione dell’avvocato una serie di denunce di cittadini vittime di una grossa corporation, che pare abbia deliberatamente e reiteratamente avvelenato le falde acquifere di una piccola cittadina.

Mastry si rende subito conto che la causa sarebbe un’impresa titanica che rischierebbe di far fallire l’intero studio legale, con il risultato di scontrarsi con una società dalle illimitate disponibilità economiche con intere squadre di avvocati pronti a distruggere tutte le famiglie coinvolte nella causa, ma Erin non mollerà, lavorerà giorno e notte per costruire delle solide basi processuali per un caso che possa essere presentato in aula con qualche possibilità, seppur remota, di vittoria.

Il regista Steven Soderbergh dopo il suo esordio hollywoodiano con l’intrigante e anomala comedy-romance Out of Sight e il ritorno a Cannes con L’inglese, decide di trasporre su schermo la storia vera dell’attivista e paralegale americana Erin Brokovich, divenuta famosa per aver riunito un’intera comunità californiana flagellata da decessi causati da tumori di dubbia origine, trascinando in tribunale e riuscendo a far condannare come unica responsabile un colosso dell’energia con tanto di risarcimento multimilionario.

Soderbergh sforna un solido legal-drama, che resta in perfetto equilibrio tra il bisogno di raccontare i fatti e tratteggiare la personalità di una donna fragile e al contempo combattiva, che una Julia Roberts in gran forma riesce a caratterizzare evitando inutili istrionismi, puntando sul realismo e conquistandosi un meritato Oscar che potremmo senza alcun dubbio paragonare a quello di Sandra Bullock per la recente biopic The blind side.

Concludiamo segnalando l’apporto determinante del veterano Albert Finney che supporta in maniera egregia la performance della Roberts, per lui uno Screen Actors Guild Award come miglior attore non protagonista e la vera Erin Brokovich che ha appoggiato in toto l’intera operazione comparendo anche in un cameo nei panni di una cameriera di una tavola calda.