Baarìa, recensione

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Baarìa è una malinconica galleria di personaggi di grande umanità: sognatori,  perdenti, eroi e mediocri che transitano per tre generazioni nella città siciliana di Bagheria. Una Sicilia filtrata dagli occhi di una famiglia che attraversa le epoche, i moti e le utopie di oltre mezzo secolo.

In principio conosceremo Cicco che mentre il fascismo si fa strada tra i giovani italiani, riesce a dedicarsi oltre che al suo gregge di pecore alla sua vera grande passione, la letteratura e l’epica cavalleresca. Poi suo figlio Peppino che mentre in Europa imperversa la seconda guerra mondiale e la fame e la povertà dilaniano l’Italia, scoprirà prima una passione per la politica militante e il partito comunista e una volta finita la guerra, anche la passione per una donna e il peso di un credo politico troppo ostentato.

Dagli anni ’30 agli anni’80 una lunga e malinconica carrellata in cerca di foto in bianco e nero, ricordi sbiaditi e sogni infranti, ma anche di grandi amori e un’affetto immenso e viscerale per la propria terra.

Tornatore è sicuramente un virtuoso dell’immagine, un narratore di emozioni che ama profondamente la sua terra è che con questo film decide di omaggiarne malinconicamente il percorso storico/politico, ma lasciando la storia sullo sfondo e scegliendo un nostalgico amarcord, figlio di suggestioni infantili e profumi di una Sicilia e di un’umanità che sembrano ormai così lontani.

Baarìa è un kolossal d’autore, un termine astruso per il cinema italiano degli ultimi tempi, una vera contraddizione in termini che però rende bene l’idea di cosa si sia voluto tentare con un film che ha l’ambizione di voler essere accessibile a tutti, ma anche mantenere un’identità autorale, un affresco corale con tutti i fisiologici problemi che può dare una narrazione così intensa e complessa. che attraversa un lasso di tempo così enorme, con i suoi tempi morti e alcuni personaggi che si perdono inevitabilmente lungo la strada.

Che il film abbia diviso la critica a Venezia è comprensibile, mentre il nostro cinema ha bisogno di svecchiarsi, Tornatore sembra andare controcorrente e torna indietro nel tempo, cita i grandi maestri del passato, ci ricorda le nostre radici e al contrario di molti autori italiani che utilizzano il cinema come metafora del proprio credo politico, lui punta sui personaggi, sulla gente, sulla memoria collettiva.

Il suo è un cinema che gli permette di parlare con grande semplicità al grande pubblico, di raccontare le emozioni con gli occhi di un fanciullo e l’estro di un artista, un connubio che non sempre però funziona, ma che comunque non lascia indifferenti e Baarìa è tutto questo, un intenso ritratto corale, una gioia per gli occhi, popolato però da personaggi che non sempre lasciano il segno, ma quando lo fanno riescono comunque a dare un senso ad un’opera tanto imperfetta quanto ambiziosa.