Da Tobe Hooper a Xavier Gens: famiglie da horror

Famiglia, nucleo, simbolo di unione e di legame indissolubile, con l’avvicinarsi delle festività e del Natale, la famiglia come concetto si amplifica, diventa icona da rivalutare, valore da riscoprire e intorno a milioni di tavole imbandite si celebrerà quel rito propiziatorio di ritorno alle origini attraverso il binomio cibo e famiglia.

Binomio che trasmette serenità, profumi familiari e sensazioni di benessere, ma immaginiamo un’altro mondo, con valori simili ma distorti, sempre il pranzo come rito associato alla famiglia, ma la deformità come normalità, l’orrore e la follia come mostruose forme d’affetto e infine voi…come portata principale.

Era il 1974 quando il regista Tobe Hooper assemblò, in una sorta di collage di eventi realmente accaduti e pura invenzione, il cult Non aprite quella porta narrando le gesta dell’ormai iconica famiglia cannibale. Cosa si poteva chiedere di più, i primi anni ’70, il Vietnam, le proteste, i valori borghesi messi al rogo e un regista che scova l’orrore nel cuore dell’America, nell’anima nera che alberga in ognuno di noi e ne fa riflesso deforme, dissacrando l’istituzione su cui si basa il concetto stesso di Stati Uniti, mostrandone il lato incontrollabile e nascosto.

Hooper diventa così il precursore di un’intera generazione di filmmakers che figlierà, in una liberatoria catarsi, memorabili incubi in celluloide fino ad arrivare ai giorni nostri, liberandosi metaforicamente lungo la strada, attraverso efferate allegorie, di quei demoni e mostri che una società schiava del progresso inevitabilmente produce e poi inutilmente tenta di nascondere.

Nel 1977 un altro maestro del genere Wes Craven produce l’ennesimo capolavoro dal misero budget ma dalla geniale ferocia. Le colline hanno gli occhi mette in scena la storia di una famiglia di cannibali che abita una sperduta regione desertica, una famiglia di turisti avrà la sfortuna di attraversare il loro territorio innescando una carneficina, ma stavolta la famiglia normale dovrà trasformarsi e oltrepassare quel confine che la differenzia dai mostri da cui si stanno difendendo in un tripudio di violenza e vendetta. Craven provoca, ricordandoci  la nostra vera natura animale, da dove veniamo, cosa siamo in realtà sotto giacche e cravatte, animali sopiti, addomesticati, ma pronti se provocati a scatenare gli istinti più bassi ed atavici.

Così mentre Romero tramutava la paura dell’altro, della guerra, del diverso in voraci zombie che invadevano la terra in una cupa, famelica e reiterata Apocalisse, le nostre famiglie mostruosamente disfunzionali superano in sordina gli anni ’80 trovandosi un po’ a disagio con lo yuppismo rampante dei vari Patrick Bateman, così si fanno da parte lasciando spazio ai singoli, agli emarginati profondamente integrati nella società, agli Hannibal Lecter figli di un cannibalismo da gourmet, niente bassi istinti e riti da caverna, ma cultura, musica classica, nouvelle cucine e omicidi seriali.

Gli anni ’90 sono gia di per sè spietati, figliano crimine e violenza senza bisogno di demoni e mostri, allora si torna indietro, si esplora l’america di frontiera, tra pionieri, soldati e pellerossa, quell’America più inesplorata nel senso più selvaggio del termine e allora ecco che film come L’insaziabile (1999) ci parlano di famiglia in senso lato, quella famiglia che lo stesso esercito cita al soldato, una famiglia di cui sentirsi parte: un gruppo di soldati, un fortino di confine isolato, la scoperta delle proprietà miracolose della carne umana e la tribalizzazione di rituali con pentoloni e cerimonie dalle ataviche e inquietanti reminiscenze, di nuovo l’animale, di nuovo il concetto di famiglia che diventa branco.

Arriviamo così alla macelleria di alto profilo del truculento Hostel (2005), figlio reietto del cinema del nuovo millennio, che ci presenta un nutrimento dell’anima dai contorni violenti e malati, istinti che tornano a galla in cerca di soddisfazione, tortura e sopraffazione del prossimo, ma la famiglia è solo sopita, vuole ricordarci che nel frattempo è rimasta solo un po’ in disparte, la metropoli la spaventa, troppo chiasso, troppa tecnologia e allora bisogna allontanarsi da tutto, raggiungere luoghi più consoni, come l’hotel molto fuori mano del francese Frontiers (2007), lì possono tornare a respirare una venefica e corroborante aria malsana tra cadaveri e mentalità distorte, tra vittime non sempre rassegnate e carnefici alla ricerca di una razza dalla purezza irrimediabilmente contaminata.

La famiglia-horror del nuovo millennio è deforme e deformante, come un riflesso in uno specchio sudicio e incrinato, ma forse quel che cerca è solo amore, un amore filiale e familiare affogato nel sangue e nel cannibalismo, atto estremo di affiliazione attraverso un rito propiziatorio che unisce vita e morte.

Tutte queste famiglie mostruose hanno la capacità di turbare ad un livello profondo, perchè anche se distorte nei valori e deformi nell’aspetto, le dinamiche che si innescano al loro interno lanciano un messaggio scioccante e violentemente nitido, una società priva di qualsivoglia valore partorisce figli deformi e anaffettivi, che finiranno inevitabilmente per divorarla dall’interno.