Scarface, recensione

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Anni’ 80 a Cuba alcuni detenuti vengono scarcerati e spediti, con la scusa di riabbracciare i loro cari, in quel di Miami. Assiepati in centri di accoglienza dall’immigrazione molti di loro riusciranno ad uscirne con un visto, e se alcuni cercheranno di perseguire il sogno americano onestamente, altri come Tony Montana (Al Pacino), sceglieranno il crimine come scorciatoia per soldi e successo.

Montana sa esattamente quello che non vuole, non finirà a fare lo sguattero per qualche dollaro l’ora o il tirapiedi di qualche boss, così una volta inseritosi nell’organizzazione di Frank Lopez (Robert Loggia) boss dedito al traffico di cocaina, inizierà la sua personale scalata al potere.

L’irruenza e la franchezza dell’uomo prima conquisteranno Lopez che lo sceglierà per affiancare il suo braccio destro Omar Suarez (F. Murray Abraham), poi capita sino in fondo l’ambizione sfrenata del suo nuovo pupillo Lopez tenterà di eliminarlo e non riuscendovi decreterà la sua condanna a morte.

Montana come aveva promesso farà una veloce carriera, tutto ciò che era di Lopez ora è suo, come la sua donna Elvira (Michelle Pfeiffer) e il suo fornitore colombiano il boss Alejandro Sosa (Paul Shenan) che inizierà con il neo-trafficante un proficua collaborazione, sino a quando l’impero di Montana comincerà a vacillare sotto i colpi di un’incontrollabile dipendenza dalla cocaina che figlierà, oltre a manie paranoidi, anche l’errore di voler contrastare Sosa che capito di avere un socio ormai fuori controllo deciderà di eliminarlo.

Brian De Palma con il suo Scarface sforna uno dei più efficaci ed intensi gangster-movie di sempre, che insieme a Il Padrino di Coppola e Quei bravi ragazzi di Scorsese rappresenta la vetta del genere, andando cos’ idealmente ad unirsi ai grandi classici come lo Scarface di Howard Hawks, Piccolo Cesare di Mervyn LeRoy e Nemico pubblico di William A. Wellman con un memorabile James Cagney.

E’ proprio allo Scarface di Hawks che De palma si ispira per il suo Tony Montana  sostituendo la New York dei ruggenti anni ’30 alle soglie del proibizionismo, con la Miami degli anni’80, la stessa che rivedremo successivamente anche nel serial Miami Vice, capitale del narcotraffico e regno della cocaina.

De Palma ci mostra un’America deformata, ma al contempo realistica e inquietante che sa di tragedia greca e sogno americano, una repentina ascesa al potere nella terra delle occasioni conquistata con rabbiosa determinazione e l’altrettanto repentina caduta nel baratro della follia e dell’ambizione più sfrenata, l’epica del crimine questa volta ha il volto di un Al Pacino monumentale che incarna alla perfezione il lato ocuro dell’american dream.