Recensione: Matrimonio a 4 mani

Amanda (Mary-kate Olsen) e Alyssa (Ashley Olsen) sono due bambine identiche, inconsapevoli l’una dell’altra che trascorrono le loro vite in due mondi completamente differenti, Amanda vive in un orfanotrofio dove Diane (Kirstie Alley) una dolce assistente sociale tenta di trovarle invano una famiglia decente, ma Amanda in cuor suo vorrebbe avere Diane come mamma.

Alyssa vive tra gli agi, anche lei ha perso la madre ma fortunatamente ha ancora il padre, il miliardario Roger Kellaway, ma alla piccola Alyssa la futura matrigna non piace proprio, perchè oltre che antipatica si rivela un’avida cacciatrice di dote.

Il destino farà incontrare le due, che dopo un primo comprensibile stupore stringeranno un patto d’amicizia ed escogiterannno un diabolico piano, scambiarsi di posto, con il doppio scopo di rovinare il matrimonio all’antipatica matrigna e far incontrare e innamorare l’assistente sociale Diane ed il vedovo miliardario, il tutto possibilmente condito con un bel E vissero felici e contenti…

Commedia furbetta con qualche gag azzeccata, questo è Matrimonio a 4 mani, la storia de Il principe e il povero attualizzata in un film cucito addosso al talento delle due baby star, le famose gemelline Olsen, quello che dispiace è che questo film sembra una sorta di addio alle armi di ex-star ormai in declino.

Nei panni del simpatico miliardario troviamo la star anni ’80 Steve Guttenberg che con Scuola di polizia, Cocoon e High spirits: fantasmi da legare è diiventato il beniamino del pubblico di tutto il mondo, simpatia e ironia su una bella faccia americana, poi l’oblio, stessa fine, stavolta per problemi di alcool e droga, per Kirstie Alley, che dopo i fortunati Senti chi parla sembrava destinata all’olimpo delle star da commedia, ma così non è stato.

Tutto nel film è troppo preconfezionato, specialmente la recitazione delle due piccole protagoniste che manca di una certa spontaneità che influisce su tutto la pellicola, gli attori che per tutto il film fanno da spalla alle gemelle sembrano spaesati e poco convinti, specialmente Steve Guttenberg.

Per carità, non siamo di fronte ad un disastro, ma manca quella scintilla che fa di un film mediocre una bella commedia, manca l’alchimia che molte produzioni dello stesso genere hanno, e che fanno funzionare storie alquanto banali grazie a quel certo non so che, che scaturisce tra il cast ed il regista, che qui sembra mancare totalmente.

Diretto dallo specialista Andy Tennant (Hitch, Tutti pazzi per l’oro), la sua esperienza non basta a risollevare questa commedia che cerca invano di accontentare tutti i possibili target di pubblico, confermando il vecchio adagio che chi troppo vuole nulla stringe.